Il sapere rende liberi.
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”
Noi ragazzi della quarta A abbiamo preso alla lettera questo aforisma di Primo Levi e abbiamo così deciso di aprire una pagina all’interno del blog dove scriveremo degli articoli informativi. Forse ci sarà difficile, se non impossibile, comprendere a fondo questo nostro mondo, ma ci impegneremo con serietà per conoscere la realtà di ciò che ci circonda. Qui parleremo, in maniera diretta e oggettiva e cercando di non dilungarci troppo, di curiosità che studieremo, novità relative al mondo del Cairoli, ma non solo, e di tanto altro. “Il Sapere Rende Liberi” e, siccome non possiamo immaginare di affrontare questo cammino privati della nostra libertà di espressione, in questa area del sito cercheremo di condividere liberamente una parte del nostro sapere.
Qui di seguito l'elenco dei nostri articoli:
-'Fato e fatalismo'
-'Un colore...un'emozione'
-'Sirene: pesci o uccelli?'
-'Il suono della campanella: il primo giorno di liceo dei ragazzi della IV A ginnasio corso Erodoto'
-'Il primo giorno di scuola più atteso di sempre'
-'Innamorata della costituzione: incontro con la ministra della giustizia Marta Cartabia
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”
Noi ragazzi della quarta A abbiamo preso alla lettera questo aforisma di Primo Levi e abbiamo così deciso di aprire una pagina all’interno del blog dove scriveremo degli articoli informativi. Forse ci sarà difficile, se non impossibile, comprendere a fondo questo nostro mondo, ma ci impegneremo con serietà per conoscere la realtà di ciò che ci circonda. Qui parleremo, in maniera diretta e oggettiva e cercando di non dilungarci troppo, di curiosità che studieremo, novità relative al mondo del Cairoli, ma non solo, e di tanto altro. “Il Sapere Rende Liberi” e, siccome non possiamo immaginare di affrontare questo cammino privati della nostra libertà di espressione, in questa area del sito cercheremo di condividere liberamente una parte del nostro sapere.
Qui di seguito l'elenco dei nostri articoli:
-'Fato e fatalismo'
-'Un colore...un'emozione'
-'Sirene: pesci o uccelli?'
-'Il suono della campanella: il primo giorno di liceo dei ragazzi della IV A ginnasio corso Erodoto'
-'Il primo giorno di scuola più atteso di sempre'
-'Innamorata della costituzione: incontro con la ministra della giustizia Marta Cartabia
INNAMORATA DELLA COSTITUZIONE: incontro con la ministra della giustizia Marta Cartabia
Grazie all’iniziativa promossa dalla fondazione Corriere della sera: ‘Insieme per capire’ a cui hanno aderito molte scuole di secondo grado italiane, circa trecentocinquanta studenti hanno potuto incontrare la ministra della giustizia Marta Cartabia. L’incontro è avvenuto l’11 maggio 2021 ed è stato condotto da un giornalista del ‘Il Corriere della sera’.
La conferenza, tenutasi a causa delle norme anti Covid via web, ha permesso a molti giovani di riflettere, attraverso domande e provocazioni, direttamente con il ministro della giustizia su importanti tematiche.
La ministra, rispondendo in modo chiaro ed esemplificativo con riferimenti a episodi della mitologia greca, è riuscita a rispondere in modo esauriente.
La conferenza si è aperta sottolineando l’importanza delle regole che preservano la libertà individuale, anche se regole e libertà sembrerebbero escludersi a vicenda. Specialmente in questo periodo di pandemia i giovani vedono le regole come delle costrizioni, mentre esse sono condizione di una libertà ordinata, sono come argini di un fiume che servono a indirizzare e rafforzare lo scorrere dell’acqua. In una società senza regole prevarrebbe la legge del più forte!. “Ma nell’anno 2020/2021 non si è violata la libertà di movimento?” A questa domanda la ministra ha spiegato che negli articoli 13 e 16 della nostra Costituzione, in realtà, si prevede la limitazione della libertà individuale per importanti questioni sanitarie.
Se la Costituzione pone dei limiti, non lo fa in modo rigido. Abbiamo bisogno della flessibilità delle regole secondo le situazioni date; la costituzione è sempre la stessa ed è adatta a tutte le circostanze, perché i suoi principi sono sempre aperti a contesti di ogni tipo.
Un’altra importante questione è stata il confronto tra le leggi e le esigenze morali dei singoli. Ad esempio Rosa Parks si è battuta contro le leggi razziali del suo tempo, non alzandosi dal suo posto per cederlo ad un uomo bianco, mettendo in discussione una legge vigente, ma ingiusta.
Per risolvere questi conflitti esiste un organismo come quello della Corte costituzionale chiamata a discernere le leggi giuste e da quelle ‘ingiuste’.
Un’altra domanda scottante è stata : “A cosa serve la pena?”. Ebbene la ministra ha evidenziato che essa non deve essere una punizione, bensì un’occasione per la rieducazione del condannato. Infatti la giustizia non può restituire il male dato, ma può garantire una seconda possibilità e un aiuto alla reintegrazione nella società, spesso ostacolata da pregiudizi .
Non essendoci nessun organo istituzionale che amministrava la giustizia, nell’antichità si utilizzava solamente lo strumento della vendetta.
Il compito degli organi giudiziari competenti è quello di riuscire a prendere delle decisioni considerando e rispettando ambe le parti in disaccordo. Le magistrature cercano di trovare il punto di incontro nei conflitti di natura etnica, religiosa, politica e comportamentale.
Interessante a questo proposito è stato l’esempio raccontato dalla ministra su un caso sottoposto all’attenzione della corte canadese.
Un ragazzo Sikh, per motivi religiosi, doveva portare sempre con sé un coltello, andando chiaramente contro ogni norma di sicurezza ad esempio nella vita scolastica . La contraddizione è stata risolta applicando il criterio della ‘reasonable accomodation’ ovvero cercare un punto di incontro ragionevole tra le parti. Grazie a tale criterio, si è deciso che il ragazzo doveva portare il coltello cucito nella giacca, garantendo la sicurezza pubblica degli altri. Questo è stato citato come esempio di ‘giustizia giusta’; infatti vietando al ragazzo Sikh di portare a scuola il suo coltello, egli avrebbe dovuto violare un obbligo religioso, ma anche la tutela della sicurezza degli altri non doveva essere messa in secondo piano. Un paese che vuole rispettare la libertà di tutti deve trovare un modo per far convivere le parti spostando le battaglie dai principi assoluti alla convivenza sociale.
La ministra ha concluso rispondendo personalmente a delle domande in merito alla condizione della donna, un tema che la coinvolge a trecentosessanta gradi. Ella ha sottolineato i grandi passi avanti fatti nella società, dove tuttavia ci sono ancora sfumature di discriminazioni.
L’incontro si è rivelato piacevole, soprattutto per il tono cordiale e chiaro della prof. Cartabia che ha dimostrato di conoscere i giovani.
La conferenza, tenutasi a causa delle norme anti Covid via web, ha permesso a molti giovani di riflettere, attraverso domande e provocazioni, direttamente con il ministro della giustizia su importanti tematiche.
La ministra, rispondendo in modo chiaro ed esemplificativo con riferimenti a episodi della mitologia greca, è riuscita a rispondere in modo esauriente.
La conferenza si è aperta sottolineando l’importanza delle regole che preservano la libertà individuale, anche se regole e libertà sembrerebbero escludersi a vicenda. Specialmente in questo periodo di pandemia i giovani vedono le regole come delle costrizioni, mentre esse sono condizione di una libertà ordinata, sono come argini di un fiume che servono a indirizzare e rafforzare lo scorrere dell’acqua. In una società senza regole prevarrebbe la legge del più forte!. “Ma nell’anno 2020/2021 non si è violata la libertà di movimento?” A questa domanda la ministra ha spiegato che negli articoli 13 e 16 della nostra Costituzione, in realtà, si prevede la limitazione della libertà individuale per importanti questioni sanitarie.
Se la Costituzione pone dei limiti, non lo fa in modo rigido. Abbiamo bisogno della flessibilità delle regole secondo le situazioni date; la costituzione è sempre la stessa ed è adatta a tutte le circostanze, perché i suoi principi sono sempre aperti a contesti di ogni tipo.
Un’altra importante questione è stata il confronto tra le leggi e le esigenze morali dei singoli. Ad esempio Rosa Parks si è battuta contro le leggi razziali del suo tempo, non alzandosi dal suo posto per cederlo ad un uomo bianco, mettendo in discussione una legge vigente, ma ingiusta.
Per risolvere questi conflitti esiste un organismo come quello della Corte costituzionale chiamata a discernere le leggi giuste e da quelle ‘ingiuste’.
Un’altra domanda scottante è stata : “A cosa serve la pena?”. Ebbene la ministra ha evidenziato che essa non deve essere una punizione, bensì un’occasione per la rieducazione del condannato. Infatti la giustizia non può restituire il male dato, ma può garantire una seconda possibilità e un aiuto alla reintegrazione nella società, spesso ostacolata da pregiudizi .
Non essendoci nessun organo istituzionale che amministrava la giustizia, nell’antichità si utilizzava solamente lo strumento della vendetta.
Il compito degli organi giudiziari competenti è quello di riuscire a prendere delle decisioni considerando e rispettando ambe le parti in disaccordo. Le magistrature cercano di trovare il punto di incontro nei conflitti di natura etnica, religiosa, politica e comportamentale.
Interessante a questo proposito è stato l’esempio raccontato dalla ministra su un caso sottoposto all’attenzione della corte canadese.
Un ragazzo Sikh, per motivi religiosi, doveva portare sempre con sé un coltello, andando chiaramente contro ogni norma di sicurezza ad esempio nella vita scolastica . La contraddizione è stata risolta applicando il criterio della ‘reasonable accomodation’ ovvero cercare un punto di incontro ragionevole tra le parti. Grazie a tale criterio, si è deciso che il ragazzo doveva portare il coltello cucito nella giacca, garantendo la sicurezza pubblica degli altri. Questo è stato citato come esempio di ‘giustizia giusta’; infatti vietando al ragazzo Sikh di portare a scuola il suo coltello, egli avrebbe dovuto violare un obbligo religioso, ma anche la tutela della sicurezza degli altri non doveva essere messa in secondo piano. Un paese che vuole rispettare la libertà di tutti deve trovare un modo per far convivere le parti spostando le battaglie dai principi assoluti alla convivenza sociale.
La ministra ha concluso rispondendo personalmente a delle domande in merito alla condizione della donna, un tema che la coinvolge a trecentosessanta gradi. Ella ha sottolineato i grandi passi avanti fatti nella società, dove tuttavia ci sono ancora sfumature di discriminazioni.
L’incontro si è rivelato piacevole, soprattutto per il tono cordiale e chiaro della prof. Cartabia che ha dimostrato di conoscere i giovani.
FATO E FATALISMO
Il Fato, o destino, è uno degli elementi principali del genere epico e controlla la vita degli eroi e degli dèi.
Nei poemi scritti da Omero (Odissea e Iliade) e Virgilio (Eneide) tutti gli episodi e i fatti che avvengono sono per la maggior parte legati al tema del destino.
Nell’Odissea Odisseo impiega dieci anni per tornare in patria, sia a causa dei suoi nemici, sia a causa del Fato; infatti quando l’eroe sbarca nella terra dei Feaci e incontra Nausicaa, ai lamenti dell’eroe la principessa replica che le sue disgrazie derivano da Zeus, che divide indistintamente la buona e la cattiva sorte.
Nell’Iliade due episodi in particolar modo mettono in evidenza il Fato: il dialogo tra Ettore e Andromaca alla Porte Scee e il duello fra Ettore e Achille.
l’incontro fra i due sposi avviene durante la guerra; il marito presagisce che non rivedrà né la moglie né il figlio Astianatte, ma quando Andromaca gli propone di spostare l’esercito al sicuro e di non esporsi, l’eroe per il sentimento di vergogna che proverebbe verso i Troiani e la rassicura, dicendo che se il Fato non lo ha disposto, egli non morirà.
Il secondo episodio rilevante è il duello tra Achille ed Ettore: anche gli dei inizialmente intervengono parteggiando per l’uno o per l’altro eroe, ma alla fine i numi rinunciano ad aiutare Ettore, lasciando che il destino, inviolabile, faccia il suo corso.
Anche nell’Eneide di Virgilio il destino è elemento dominante: la fuga di Enea e il suo viaggio sono giustificati dal destino dell’eroe che è quello di fondare Roma.
Un altro episodio nel quale il Fato si dimostra determinante è la morte di Laocoonte. Laocoonte era un guerriero e sacerdote troiano che cercò di persuadere i compagni a diffidare del presunto dono dei nemici, ricordando la fama di ingannatori che accompagnava Ulisse e i Greci, ma il Fato accecava i Troiani che non diedero ascolto alle parole di Laocoonte: ‘ Timeo Danaos et dona ferentes. ’
La fine di Laocoonte, ucciso da due serpenti marini inviati da Atena, conferma l’ineluttabilità del destino di Troia, contro la quale nulla poteva essere fatto.
Nei poemi epici, il Fato o destino assume diversi nomi come Τὺχη e ’Ἀνάγκη o viene personificato nelle Parche o Moire, tre divinità che controllano le sorti del destino delle vite: Cloto (colei che stabilisce l’inizio della vita), Lachesi (colei che decide la durata della vita) e Atropo (colei che determina la fine della vita).
Nei poemi epici il Fato è ciò che governa su ogni cosa e nemmeno gli dèi possono sfuggirgli, perciò è totalmente accettato nonostante spesso si accanisca sugli uomini; per esempio, Ettore, sebbene sapesse la fine tragica che lo attendeva, non rifiuta il combattimento.
Proprio per la sua ineluttabilità gli uomini bramano di conoscere il destino, perciò consultano gli oracoli e fanno affidamento sulle profezie.
L’oracolo più famoso si trovava a Delo ed era dedicato a Febo Apollo, dio della profezia. Tramite l’oracolo di Delo, nell’Eneide, l’eroe Enea riceve il responso che lo porterà a cercare l’Antica Madre come terra designata per fondare la sua città.
Oltre agli oracoli gli eroi si affidano anche a uomini e donne con il dono della profezia per conoscere il proprio destino. Odisseo, dopo aver incontrato Circe, consulta l’ombra dell’indovino Tiresia richiamando in superficie le anime dei morti (νέκυια); Tiresia gli rivela che l’ira di Poseidone è implacabile, ma che riuscirà a tornare a Itaca se eviterà di suscitare la vendetta del Sole.
Ci sono altre profezie nei poemi come la profezia di Creusa, rapita e assunta sull’Olimpo secondo il volere del Fato, quella della regina delle arpie Celeno, che dice all’eroe che, una volta arrivato in Italia, lui e i suoi avranno così fame da mangiare persino le mense e infine la profezia di Eleno che svela che il segno che indicherà a Enea di essere arrivato alla meta sarà una scrofa bianca con trenta porcellini.
Una volta conosciuto il Fato, consapevoli che esso sia inalterabile, spesso gli uomini o gli dèi cercano di rallentarlo per impedire che determinati eventi accadano. Per esempio nell’Eneide Venere e Giunone si accordano per far rimanere Enea presso Didone: Giunone non vuole che l’eroe fondi Roma perché sa che Cartagine, città a lei dedicata, sarà distrutta (profezia post eventum) e Venere non vuole che il figlio affronti altri pericoli; così le due dee decidono di far innamorare Didone di Enea attraverso le frecce scagliate da Cupido cercando di bloccare Enea a Cartagine. L’accordo delle dee rallenterà il destino, ma non potrà impedirne il compimento.
Nonostante Virgilio faccia interagire gli dèi con le vicende degli uomini rimane sempre un po’ dubbioso sul fatto che essi si interessino o meno delle vite umane. Nelle Georgiche, infatti, il poeta inserisce nel IV libro un racconto a incastro: la storia di Aristeo con il mito di Orfeo. Entrambi i protagonisti perdono il loro bene più prezioso, ma il primo, seguendo alla lettera i consigli degli dèi, riuscirà a recuperare le sue api, il secondo, invece, non fidandosi dei numi, perderà Euridice per sempre.
Seguendo il pensiero della scuola epicurea, fondata dal filosofo Epicuro nel IV sec. a.C. e frequentata da Virgilio, l’idea che se ne trae è quella che gli dèi esistano ma siano al di sopra delle vicende umane e non interferiscano con le vite degli uomini.
Virgilio non si dichiara mai apertamente epicureo, ma all’interno delle sue opere inserisce talvolta diverse domande a proposito del ruolo attivo degli dèi nella vita deli uomini, come per esempio nel proemio dell’Eneide: ‘Tali nell’animo dei celesti le ire? ’ (En. 1, v.11).
Dalla parola ‘Fato’ deriva il termine ‘fatalismo’, cioè la convinzione che il destino sia ineluttabile e ciò comporta una certa rassegnazione al succedere degli eventi.
Nella vita quotidiana spesso siamo fatalisti e lasciamo scorrere gli avvenimenti, ma, talvolta, nelle difficoltà cerchiamo di reagire alle cose negative senza arrenderci alle fatalità.
Da una parte sentiamo dire ‘se è destino, accadrà’, ma dall’altra vogliamo assicurarci un futuro sicuro, proprio perché è incerto, e affidarsi a cosiddette magie o profezie, ormai relegate al mondo dell’intrattenimento e dello spettacolo, è ritenuto poco serio e responsabile.
La favola di Esopo “La canna e l’ulivo” racconta di come la canna si pieghi durante la tempesta mentre l’ulivo cerchi di resistere venendo sradicato. La morale mostra come in certe circostanze sia più saggio adattarsi invece che combattere; ciò vuol dire che alcune volte il fatalismo può essere d’aiuto per superare un determinato evento, ma non sempre l’uomo è disposto ad arrendersi a quanto accade. C’è una forza o un desiderio di vita che ci spinge a lottare e qualche volta a raddrizzare gli eventi.
Nei poemi scritti da Omero (Odissea e Iliade) e Virgilio (Eneide) tutti gli episodi e i fatti che avvengono sono per la maggior parte legati al tema del destino.
Nell’Odissea Odisseo impiega dieci anni per tornare in patria, sia a causa dei suoi nemici, sia a causa del Fato; infatti quando l’eroe sbarca nella terra dei Feaci e incontra Nausicaa, ai lamenti dell’eroe la principessa replica che le sue disgrazie derivano da Zeus, che divide indistintamente la buona e la cattiva sorte.
Nell’Iliade due episodi in particolar modo mettono in evidenza il Fato: il dialogo tra Ettore e Andromaca alla Porte Scee e il duello fra Ettore e Achille.
l’incontro fra i due sposi avviene durante la guerra; il marito presagisce che non rivedrà né la moglie né il figlio Astianatte, ma quando Andromaca gli propone di spostare l’esercito al sicuro e di non esporsi, l’eroe per il sentimento di vergogna che proverebbe verso i Troiani e la rassicura, dicendo che se il Fato non lo ha disposto, egli non morirà.
Il secondo episodio rilevante è il duello tra Achille ed Ettore: anche gli dei inizialmente intervengono parteggiando per l’uno o per l’altro eroe, ma alla fine i numi rinunciano ad aiutare Ettore, lasciando che il destino, inviolabile, faccia il suo corso.
Anche nell’Eneide di Virgilio il destino è elemento dominante: la fuga di Enea e il suo viaggio sono giustificati dal destino dell’eroe che è quello di fondare Roma.
Un altro episodio nel quale il Fato si dimostra determinante è la morte di Laocoonte. Laocoonte era un guerriero e sacerdote troiano che cercò di persuadere i compagni a diffidare del presunto dono dei nemici, ricordando la fama di ingannatori che accompagnava Ulisse e i Greci, ma il Fato accecava i Troiani che non diedero ascolto alle parole di Laocoonte: ‘ Timeo Danaos et dona ferentes. ’
La fine di Laocoonte, ucciso da due serpenti marini inviati da Atena, conferma l’ineluttabilità del destino di Troia, contro la quale nulla poteva essere fatto.
Nei poemi epici, il Fato o destino assume diversi nomi come Τὺχη e ’Ἀνάγκη o viene personificato nelle Parche o Moire, tre divinità che controllano le sorti del destino delle vite: Cloto (colei che stabilisce l’inizio della vita), Lachesi (colei che decide la durata della vita) e Atropo (colei che determina la fine della vita).
Nei poemi epici il Fato è ciò che governa su ogni cosa e nemmeno gli dèi possono sfuggirgli, perciò è totalmente accettato nonostante spesso si accanisca sugli uomini; per esempio, Ettore, sebbene sapesse la fine tragica che lo attendeva, non rifiuta il combattimento.
Proprio per la sua ineluttabilità gli uomini bramano di conoscere il destino, perciò consultano gli oracoli e fanno affidamento sulle profezie.
L’oracolo più famoso si trovava a Delo ed era dedicato a Febo Apollo, dio della profezia. Tramite l’oracolo di Delo, nell’Eneide, l’eroe Enea riceve il responso che lo porterà a cercare l’Antica Madre come terra designata per fondare la sua città.
Oltre agli oracoli gli eroi si affidano anche a uomini e donne con il dono della profezia per conoscere il proprio destino. Odisseo, dopo aver incontrato Circe, consulta l’ombra dell’indovino Tiresia richiamando in superficie le anime dei morti (νέκυια); Tiresia gli rivela che l’ira di Poseidone è implacabile, ma che riuscirà a tornare a Itaca se eviterà di suscitare la vendetta del Sole.
Ci sono altre profezie nei poemi come la profezia di Creusa, rapita e assunta sull’Olimpo secondo il volere del Fato, quella della regina delle arpie Celeno, che dice all’eroe che, una volta arrivato in Italia, lui e i suoi avranno così fame da mangiare persino le mense e infine la profezia di Eleno che svela che il segno che indicherà a Enea di essere arrivato alla meta sarà una scrofa bianca con trenta porcellini.
Una volta conosciuto il Fato, consapevoli che esso sia inalterabile, spesso gli uomini o gli dèi cercano di rallentarlo per impedire che determinati eventi accadano. Per esempio nell’Eneide Venere e Giunone si accordano per far rimanere Enea presso Didone: Giunone non vuole che l’eroe fondi Roma perché sa che Cartagine, città a lei dedicata, sarà distrutta (profezia post eventum) e Venere non vuole che il figlio affronti altri pericoli; così le due dee decidono di far innamorare Didone di Enea attraverso le frecce scagliate da Cupido cercando di bloccare Enea a Cartagine. L’accordo delle dee rallenterà il destino, ma non potrà impedirne il compimento.
Nonostante Virgilio faccia interagire gli dèi con le vicende degli uomini rimane sempre un po’ dubbioso sul fatto che essi si interessino o meno delle vite umane. Nelle Georgiche, infatti, il poeta inserisce nel IV libro un racconto a incastro: la storia di Aristeo con il mito di Orfeo. Entrambi i protagonisti perdono il loro bene più prezioso, ma il primo, seguendo alla lettera i consigli degli dèi, riuscirà a recuperare le sue api, il secondo, invece, non fidandosi dei numi, perderà Euridice per sempre.
Seguendo il pensiero della scuola epicurea, fondata dal filosofo Epicuro nel IV sec. a.C. e frequentata da Virgilio, l’idea che se ne trae è quella che gli dèi esistano ma siano al di sopra delle vicende umane e non interferiscano con le vite degli uomini.
Virgilio non si dichiara mai apertamente epicureo, ma all’interno delle sue opere inserisce talvolta diverse domande a proposito del ruolo attivo degli dèi nella vita deli uomini, come per esempio nel proemio dell’Eneide: ‘Tali nell’animo dei celesti le ire? ’ (En. 1, v.11).
Dalla parola ‘Fato’ deriva il termine ‘fatalismo’, cioè la convinzione che il destino sia ineluttabile e ciò comporta una certa rassegnazione al succedere degli eventi.
Nella vita quotidiana spesso siamo fatalisti e lasciamo scorrere gli avvenimenti, ma, talvolta, nelle difficoltà cerchiamo di reagire alle cose negative senza arrenderci alle fatalità.
Da una parte sentiamo dire ‘se è destino, accadrà’, ma dall’altra vogliamo assicurarci un futuro sicuro, proprio perché è incerto, e affidarsi a cosiddette magie o profezie, ormai relegate al mondo dell’intrattenimento e dello spettacolo, è ritenuto poco serio e responsabile.
La favola di Esopo “La canna e l’ulivo” racconta di come la canna si pieghi durante la tempesta mentre l’ulivo cerchi di resistere venendo sradicato. La morale mostra come in certe circostanze sia più saggio adattarsi invece che combattere; ciò vuol dire che alcune volte il fatalismo può essere d’aiuto per superare un determinato evento, ma non sempre l’uomo è disposto ad arrendersi a quanto accade. C’è una forza o un desiderio di vita che ci spinge a lottare e qualche volta a raddrizzare gli eventi.
UN COLORE... UN’EMOZIONE
Associo al coraggio il color rosso. Questo perché nella saga di Harry Potter, la casa dei Grifondoro, a cui appartengono i ragazzi più coraggiosi, è associata al rosso. Mi sono appassionata al questo mondo quando frequentavo la terza elementare, leggendo il primo romanzo della saga, ero quindi ancora abbastanza piccola e da lì per me il rosso rappresenta l’emozione del coraggio. Questo sentimento è anche idealmente concepito come un fuoco che si forma e cresce dentro di noi, che ci permette di avere un comportamento gagliardo, di superare le nostre paure ed aiutare le persone a superare le loro.
La gioia invece mi fa pensare nel color bianco. Questo perché, come la felicità, è un sentimento brillante, acceso, puro, che arriva dal cuore ed è trasparente, esattamente come il bianco. Inoltre questo è un colore che non si può realizzare mischiando altri colori tra di loro; infatti alla gioia, secondo me, non si può arrivare se non cercando il vero motivo per cui si è felici, che corrisponde ad utilizzare la vera e irreplicabile tempera bianca.
La delusione invece mi porta dritta al nero, perché è un sentimento che costringe alla tristezza. Il nero è un colore che, se non tramite il bianco, che per me corrisponde alla gioia e alla spensieratezza, non si può cambiare in uno più chiaro, che associo a sentimenti più leggeri e felici. Per superare lo stato d’animo che questo sentimento costringe ad affrontare, infatti, si devono ritrovare i sentimenti corrispondenti al bianco che abbiamo temporaneamente perso.
La noia invece è il grigio. Questo infatti è un colore lineare, che non spicca né per brillantezza, né per originalità. È un colore spento, classico, che non entusiasma, ma annoia.
L’ira infine mi conduce al viola, perché è un’emozione molto forte, che assale e rende difficile controllare ciò che si dice e si fa. Questo mi ricorda il comportamento del fuoco selvaggio, indomabile, che a causa dell’estremo calore, per alimentazione costante, bruciando tutto ciò che incontra, diventa di colore viola intenso.
La gioia invece mi fa pensare nel color bianco. Questo perché, come la felicità, è un sentimento brillante, acceso, puro, che arriva dal cuore ed è trasparente, esattamente come il bianco. Inoltre questo è un colore che non si può realizzare mischiando altri colori tra di loro; infatti alla gioia, secondo me, non si può arrivare se non cercando il vero motivo per cui si è felici, che corrisponde ad utilizzare la vera e irreplicabile tempera bianca.
La delusione invece mi porta dritta al nero, perché è un sentimento che costringe alla tristezza. Il nero è un colore che, se non tramite il bianco, che per me corrisponde alla gioia e alla spensieratezza, non si può cambiare in uno più chiaro, che associo a sentimenti più leggeri e felici. Per superare lo stato d’animo che questo sentimento costringe ad affrontare, infatti, si devono ritrovare i sentimenti corrispondenti al bianco che abbiamo temporaneamente perso.
La noia invece è il grigio. Questo infatti è un colore lineare, che non spicca né per brillantezza, né per originalità. È un colore spento, classico, che non entusiasma, ma annoia.
L’ira infine mi conduce al viola, perché è un’emozione molto forte, che assale e rende difficile controllare ciò che si dice e si fa. Questo mi ricorda il comportamento del fuoco selvaggio, indomabile, che a causa dell’estremo calore, per alimentazione costante, bruciando tutto ciò che incontra, diventa di colore viola intenso.
Coraggio: ‘che cosa sarebbe la vita, se non avessimo il CORAGGIO di correre dei rischi?’
Il colore che preferisco associare al sentimento del coraggio è il verde. Spesso nella vita ci vengono proposti degli ostacoli da superare e affrontare. Il timore è la paura istantaneamente ci sopraffanno e non riusciamo più a vedere via d’uscita per continuare. È qui che entra in gioco il coraggio. Bisogna correre il rischio per poter vincere. Il verde mi trasmette energia per ripartire e non perdere mai la speranza. Mi dà forza e tenacia per non abbattermi.
Gioia: ‘la gioia è assai contagiosa, cerchiamo dunque di essere sempre traboccanti di GIOIA, dovunque andiate’
Giallo come la gioia. Nella vita siamo sempre alla continua ricerca della felicità, della luce che ci illumini il cammino da seguire. Quando penso quindi a questo lume, subito mi persuade la mente il color giallo. La felicità è un sentimento forte e, che rappresenta l’obiettivo di ognuno di noi. Il giallo e un colore allegro, facilmente associabile alla solidarietà e alla gioia.
Delusione: ‘non ci può essere profonda DELUSIONE dove c’è un amore profondo’
Questa emozione è strettamente legata ai rapporti umani. Per poter provare questa sensazione di desolazione dobbiamo aver avuto un’aspettativa, che poi è stata smentita. Quindi dobbiamo aver vissuto esperienze piacevoli con la persona con cui abbiamo a che fare. Associo quindi questo sentimento al colore blu. Mi dà la sensazione di vuoto e di sconsolatezza; mi trasmette una sensazione infinita e incolmabile, un po’ come può sembrarci la delusione nei momenti di debolezza.
Noia: ‘preferirei morire di passione che di NOIA’
Associo la noia al grigio. Per me questa sensazione non è mai stata un problema importante; penso di essere una persona frenetica, che ha sempre qualcosa da fare. La noia è infatti un’emozione molto lontana da me come penso che sia il colore grigio. Non mi trasmette nulla e mi lascia imperturbabile. Accanto ad altri colori, viene subito soppresso ed eliminato. Così anche la rispettiva emozione, della noia.
Ira: ‘chi vince la propria IRA, supera il più grande dei nemici’, come la noia mi pareva un sentimento molto distante dalla mia persona, l’ira invece pare ai miei occhi, un sentimento molto più consono al mio carattere. Spesso la rabbia si manifesta in me e fatico a controllarla. Per questo mi sento si abbinarla al colore rosso: una tonalità molto forte, difficile da avvicinare alle altre. Così anche la rabbia è difficilmente manovrabile e non viene quasi mai sovrastata e placata da altri sentimenti.
Il colore che preferisco associare al sentimento del coraggio è il verde. Spesso nella vita ci vengono proposti degli ostacoli da superare e affrontare. Il timore è la paura istantaneamente ci sopraffanno e non riusciamo più a vedere via d’uscita per continuare. È qui che entra in gioco il coraggio. Bisogna correre il rischio per poter vincere. Il verde mi trasmette energia per ripartire e non perdere mai la speranza. Mi dà forza e tenacia per non abbattermi.
Gioia: ‘la gioia è assai contagiosa, cerchiamo dunque di essere sempre traboccanti di GIOIA, dovunque andiate’
Giallo come la gioia. Nella vita siamo sempre alla continua ricerca della felicità, della luce che ci illumini il cammino da seguire. Quando penso quindi a questo lume, subito mi persuade la mente il color giallo. La felicità è un sentimento forte e, che rappresenta l’obiettivo di ognuno di noi. Il giallo e un colore allegro, facilmente associabile alla solidarietà e alla gioia.
Delusione: ‘non ci può essere profonda DELUSIONE dove c’è un amore profondo’
Questa emozione è strettamente legata ai rapporti umani. Per poter provare questa sensazione di desolazione dobbiamo aver avuto un’aspettativa, che poi è stata smentita. Quindi dobbiamo aver vissuto esperienze piacevoli con la persona con cui abbiamo a che fare. Associo quindi questo sentimento al colore blu. Mi dà la sensazione di vuoto e di sconsolatezza; mi trasmette una sensazione infinita e incolmabile, un po’ come può sembrarci la delusione nei momenti di debolezza.
Noia: ‘preferirei morire di passione che di NOIA’
Associo la noia al grigio. Per me questa sensazione non è mai stata un problema importante; penso di essere una persona frenetica, che ha sempre qualcosa da fare. La noia è infatti un’emozione molto lontana da me come penso che sia il colore grigio. Non mi trasmette nulla e mi lascia imperturbabile. Accanto ad altri colori, viene subito soppresso ed eliminato. Così anche la rispettiva emozione, della noia.
Ira: ‘chi vince la propria IRA, supera il più grande dei nemici’, come la noia mi pareva un sentimento molto distante dalla mia persona, l’ira invece pare ai miei occhi, un sentimento molto più consono al mio carattere. Spesso la rabbia si manifesta in me e fatico a controllarla. Per questo mi sento si abbinarla al colore rosso: una tonalità molto forte, difficile da avvicinare alle altre. Così anche la rabbia è difficilmente manovrabile e non viene quasi mai sovrastata e placata da altri sentimenti.
SIRENE: PESCI O UCCELLI?
Odisseo, nel settimo libro del poema epico a lui dedicato, racconta ai Feaci il suo incontro con le Sirene. Quando lui e i suoi compagni giungono allo stretto di Scilla e di Cariddi, sugli scogli ci sono queste straordinarie creature che richiamano i marinai. Guardando in lontananza sulla costa sono presenti anche degli scheletri, quindi Odisseo capisce che colui che ascolta il canto delle Sirene, è attratto da quest’ultime ma, avvicinandovisi, viene ucciso. Ancora oggi si dice ‘sentire il canto delle Sirene’ quando si è fortemente attratti e sedotti da qualcosa, che forse potrebbe rivelarsi ingannevole.
Odisseo vuole premunirsi dal perdere i suoi fedeli compagni, che ascoltando le Sirene sicuramente non resisterebbero alla tentazione di raggiungerle. Quindi l’eroe, molto astuto, si procura della cera e con le mani modella questo materiale, per fare dei tappi da mettere nelle orecchie dei compagni. Egli però, per la sua curiosità, decide di non farne uso, per udire il famigerato canto. Ordina ai suoi uomini di legarlo all’albero maestro della nave in modo da non poter fuggire. Odisseo, che non è mai pago di sapere, è attratto poiché le Sirene gli promettono tutta la conoscenza.
Le Sirene infatti, nell’Odissea e nel mondo greco, sono seducenti non per un fascino erotico, bensì intellettuale. Infatti nell’antichità i loro corpi non sono particolarmente belli e attraenti. Queste creature hanno il corpo di uccelli, con ali e artigli, e il volto umano; sono simili ad Arpie, ma dotate di una straordinaria abilità nel canto. Né Odisseo né i suoi compagni, nella descrizione si soffermano sul loro aspetto, ponendo invece l’accento sulla loro astuzia, intelligenza e magnifica voce.
Nell’antichità molti artisti presero ispirazione da questa scena dell’Odissea, per la creazione di parecchie opere, ad esempio nell’immagine a destra è presente un’antica anfora a figure rosse risalente al 470 a. C. circa che raffigura Odisseo legato all’albero maestro.
Odisseo, nel settimo libro del poema epico a lui dedicato, racconta ai Feaci il suo incontro con le Sirene. Quando lui e i suoi compagni giungono allo stretto di Scilla e di Cariddi, sugli scogli ci sono queste straordinarie creature che richiamano i marinai. Guardando in lontananza sulla costa sono presenti anche degli scheletri, quindi Odisseo capisce che colui che ascolta il canto delle Sirene, è attratto da quest’ultime ma, avvicinandovisi, viene ucciso. Ancora oggi si dice ‘sentire il canto delle Sirene’ quando si è fortemente attratti e sedotti da qualcosa, che forse potrebbe rivelarsi ingannevole.
Odisseo vuole premunirsi dal perdere i suoi fedeli compagni, che ascoltando le Sirene sicuramente non resisterebbero alla tentazione di raggiungerle. Quindi l’eroe, molto astuto, si procura della cera e con le mani modella questo materiale, per fare dei tappi da mettere nelle orecchie dei compagni. Egli però, per la sua curiosità, decide di non farne uso, per udire il famigerato canto. Ordina ai suoi uomini di legarlo all’albero maestro della nave in modo da non poter fuggire. Odisseo, che non è mai pago di sapere, è attratto poiché le Sirene gli promettono tutta la conoscenza.
Le Sirene infatti, nell’Odissea e nel mondo greco, sono seducenti non per un fascino erotico, bensì intellettuale. Infatti nell’antichità i loro corpi non sono particolarmente belli e attraenti. Queste creature hanno il corpo di uccelli, con ali e artigli, e il volto umano; sono simili ad Arpie, ma dotate di una straordinaria abilità nel canto. Né Odisseo né i suoi compagni, nella descrizione si soffermano sul loro aspetto, ponendo invece l’accento sulla loro astuzia, intelligenza e magnifica voce.
Nell’antichità molti artisti presero ispirazione da questa scena dell’Odissea, per la creazione di parecchie opere, ad esempio nell’immagine a destra è presente un’antica anfora a figure rosse risalente al 470 a. C. circa che raffigura Odisseo legato all’albero maestro.
Anche il poeta ellenistico Apollonio Rodio nel III secolo a. C., nelle Argonautiche, descrive analiticamente il fascino intellettuale delle Sirene, legato alla conoscenza e al sapere; addirittura in questo poema esse vengono presentate come figlie di una delle Muse.
Il primo poeta che le descrisse fisicamente fu Ovidio nel I secolo a. C., nel quinto canto delle Metamorfosi, fornendo a queste creature anche una storia ben precisa. Infatti le Sirene un tempo erano delle fanciulle, amiche di Proserpina; quando la dea venne rapita da Ade, le ragazze si trasformarono in volatili per poterla cercare.
Il passaggio dal fascino intellettuale alla seduzione erotica, avviene nel Medioevo, quando la cultura classica viene adombrata a causa della perdita dello studio della lingua greca. Nel IV secolo d. C. Servio, scrisse un commento all’Eneide, nel quale paragonò le Sirene descritte a prostitute, che seducono i marinai con parole dolci o canti affascinanti, tenendo seni e ombelico scoperti e portando alla rovina economica gli uomini di mare.
Il primo poeta che le descrisse fisicamente fu Ovidio nel I secolo a. C., nel quinto canto delle Metamorfosi, fornendo a queste creature anche una storia ben precisa. Infatti le Sirene un tempo erano delle fanciulle, amiche di Proserpina; quando la dea venne rapita da Ade, le ragazze si trasformarono in volatili per poterla cercare.
Il passaggio dal fascino intellettuale alla seduzione erotica, avviene nel Medioevo, quando la cultura classica viene adombrata a causa della perdita dello studio della lingua greca. Nel IV secolo d. C. Servio, scrisse un commento all’Eneide, nel quale paragonò le Sirene descritte a prostitute, che seducono i marinai con parole dolci o canti affascinanti, tenendo seni e ombelico scoperti e portando alla rovina economica gli uomini di mare.
Intanto dal mondo germanico arrivano molte fiabe, che hanno come protagoniste proprio queste creature. I nordici elaborano l’idea della Sirenetta che vive nel mare, dotata quindi di coda di pesce, doppia o singola. Andersen, il noto autore di fiabe per esempio, basa molti dei suoi racconti sulle leggende riguardanti questi esseri, primo fra tutti La Sirenetta, fiaba pubblicata nel 1913 a Copenaghen.
Anche Cristoforo Colombo, dopo aver viaggiato verso le Americhe, sui suoi diari descrive di aver incontrato in mare aperto delle figure riconducibili a Sirene: belle, sensuali e dai corpi quasi perfetti.
Attraverso questa carrellata nei secoli, arriviamo infine ai tempi odierni e, spostandoci nell’ambito del marketing, ritroviamo l’idea della Sirena come creatura bella e seducente ripresa anche dal logo di una grande catena di caffè, conosciuta in tutto il mondo: Starbucks. In questo caso all’essere mitologico non viene attribuita alcuna accezione negativa: si mette in luce soltanto la seduzione di un buon caffè, con l’idea di una pausa di piacere.
Nell’era dell’immagine e della ricerca costante quasi spasmodica di nuovi canoni di bellezza, consapevoli che tutto cambia ed evolve, fa comunque un certo effetto pensare che è davvero esistita un’epoca lontana nel quale un uomo si sentisse costretto a tapparsi le orecchie o legarsi a un palo per non cedere al fascino irresistibile dell’intelligenza.
Anche Cristoforo Colombo, dopo aver viaggiato verso le Americhe, sui suoi diari descrive di aver incontrato in mare aperto delle figure riconducibili a Sirene: belle, sensuali e dai corpi quasi perfetti.
Attraverso questa carrellata nei secoli, arriviamo infine ai tempi odierni e, spostandoci nell’ambito del marketing, ritroviamo l’idea della Sirena come creatura bella e seducente ripresa anche dal logo di una grande catena di caffè, conosciuta in tutto il mondo: Starbucks. In questo caso all’essere mitologico non viene attribuita alcuna accezione negativa: si mette in luce soltanto la seduzione di un buon caffè, con l’idea di una pausa di piacere.
Nell’era dell’immagine e della ricerca costante quasi spasmodica di nuovi canoni di bellezza, consapevoli che tutto cambia ed evolve, fa comunque un certo effetto pensare che è davvero esistita un’epoca lontana nel quale un uomo si sentisse costretto a tapparsi le orecchie o legarsi a un palo per non cedere al fascino irresistibile dell’intelligenza.
IL SUONO DELLA CAMPANELLA: IL PRIMO GIORNO DI LICEO
DEI RAGAZZI DELLA IV A GINNASIO CORSO ERODOTO
Come ha accolto i suoi nuovi alunni il liceo classico E. Cairoli? Quali misure di sicurezza ha adottato per far fronte all’emergenza covid19? Scopriamo come la scuola sta lentamente riprendendo a funzionare immergendoci nella giornata dei nuovi studenti del corso Erodoto.
Dopo mesi di chiusura che a tutti sono sembrati infiniti, ecco che finalmente le scuole riprendono a funzionare.
Gli orari scaglionati, le distanze di sicurezza e l’obbligo della mascherina non intimidiscono i professori e tantomeno gli studenti, che si affrettano a trovare il loro ingresso per non tardare proprio alla fatidica prima lezione.
La giornata inizia veramente solo allo squillante suono della campanella, che permette ai ragazzi di conoscere finalmente le loro aule, palcoscenico dei loro prossimi cinque anni scolastici.
Come previsto da regolamento tutti indossano la mascherina e, entrando finalmente nella loro aula, scelgono i propri banchi, rigorosamente distanziati uno dall’altro.
Seduti ai banchi i ragazzi hanno il permesso di levare la protezione chirurgica, iniziando finalmente la vera conoscenza con i docenti e tra di loro.
Volti nuovi, voci nuove e luoghi a cui ancora non si è abituati: questo è l’inizio della scuola superiore.
Nonostante la situazione particolare, la giornata trascorre tranquillamente tra presentazioni e introduzioni a diverse materie, raddoppiando le aspettative sia degli studenti che dei professori.
“Forse non è la scuola che conoscevamo, ma tutto è ben organizzato e l’interesse che avevo per questo corso non è mai diminuito, anzi, il contrario” afferma Ginevra, studentessa della classe IVA Ginnasio.
Il breve intervallo tra la seconda e la terza ora trascorre con chiacchiere tra un banco e l’altro, seduti al proprio posto ma vicini con le parole.
Quando le lezioni si concludono, gli studenti escono quasi contrariati: la giornata per loro era appena cominciata.
“Non so se sarò in grado di stare al passo con questo corso e con questa scuola” aggiunge Ginevra “so solo che non vedo l’ora di provarci”.
Il primo giorno di scuola più atteso di sempre
Il 14 settembre 2020 è senza dubbio il primo giorno di scuola più atteso di sempre: dopo sei mesi di chiusura, le porte degli istituti scolastici di ogni ordine e grado sono di nuovo aperte.
I ragazzi del Cairoli tornano sui banchi, tra incertezze, difficoltà e misure anti-contagio che rendono difficile la socialità, ma anche con tanta voglia di tornare alla normalità.
Commenta il preside dell’istituto, Salvatore Consolo: “Sono felice di rivedere la scuola animarsi dei miei studenti, ai quali auguro un caloroso benvenuto e un buon anno nuovo. Ne hanno bisogno, dopo sei mesi di lontananza dalla scuola. Penso soprattutto agli studenti di IV ginnasio, che iniziano una nuova avventura, impensabile con la dad”.
Al suono della campanella ci sono 700 ragazzi ai cancelli, ma, rispettando le restrizioni, non tutti alla stessa ora. A ingressi scaglionati ogni 15 minuti, le cinque sezioni della IV ginnasio sono le prime ad entrare: chissà cosa spetta e a cosa vanno incontro i nuovi “cairolini”, così sono chiamati i primini, i nuovi arrivati al liceo.
Dal secondo giorno si parte con i doppi turni, uno alle 8 e uno alle 9:50, con lezioni di 50 minuti. L’orario è provvisorio, vale solo per le prime settimane, poi, probabilmente, tornerà standard e le lezioni dureranno 60 minuti.
Tutti sperano che la didattica continui in presenza e che si possa tornare alla completa normalità, ma la situazione è imprevedibile e ormai non si sa più cosa aspettarsi.
La misure anti contagio sono state effettuate seguendo l’ordine del ministero (distanziamento di un metro tra i banchi, fornitura di mascherine, presenza di distributori di gel disinfettante, intervallo da seduti) ma sta anche ai ragazzi assumersi la responsabilità di comportarsi in maniera adeguata, nel rispetto di se stessi e degli altri, anche al di fuori della scuola.
“Insieme ce la faremo!” dichiara con fiducia il dirigente.
Nel frattempo il tempo vola e suona già la campanella d’uscita, o meglio le due campanelle che scaglionano le due uscite a blocchi delle varie classi. I ragazzi si salutano e, anche se non si vede, perché coperto dalle mascherine, hanno un enorme sorriso stampato sul viso.
DEI RAGAZZI DELLA IV A GINNASIO CORSO ERODOTO
Come ha accolto i suoi nuovi alunni il liceo classico E. Cairoli? Quali misure di sicurezza ha adottato per far fronte all’emergenza covid19? Scopriamo come la scuola sta lentamente riprendendo a funzionare immergendoci nella giornata dei nuovi studenti del corso Erodoto.
Dopo mesi di chiusura che a tutti sono sembrati infiniti, ecco che finalmente le scuole riprendono a funzionare.
Gli orari scaglionati, le distanze di sicurezza e l’obbligo della mascherina non intimidiscono i professori e tantomeno gli studenti, che si affrettano a trovare il loro ingresso per non tardare proprio alla fatidica prima lezione.
La giornata inizia veramente solo allo squillante suono della campanella, che permette ai ragazzi di conoscere finalmente le loro aule, palcoscenico dei loro prossimi cinque anni scolastici.
Come previsto da regolamento tutti indossano la mascherina e, entrando finalmente nella loro aula, scelgono i propri banchi, rigorosamente distanziati uno dall’altro.
Seduti ai banchi i ragazzi hanno il permesso di levare la protezione chirurgica, iniziando finalmente la vera conoscenza con i docenti e tra di loro.
Volti nuovi, voci nuove e luoghi a cui ancora non si è abituati: questo è l’inizio della scuola superiore.
Nonostante la situazione particolare, la giornata trascorre tranquillamente tra presentazioni e introduzioni a diverse materie, raddoppiando le aspettative sia degli studenti che dei professori.
“Forse non è la scuola che conoscevamo, ma tutto è ben organizzato e l’interesse che avevo per questo corso non è mai diminuito, anzi, il contrario” afferma Ginevra, studentessa della classe IVA Ginnasio.
Il breve intervallo tra la seconda e la terza ora trascorre con chiacchiere tra un banco e l’altro, seduti al proprio posto ma vicini con le parole.
Quando le lezioni si concludono, gli studenti escono quasi contrariati: la giornata per loro era appena cominciata.
“Non so se sarò in grado di stare al passo con questo corso e con questa scuola” aggiunge Ginevra “so solo che non vedo l’ora di provarci”.
Il primo giorno di scuola più atteso di sempre
Il 14 settembre 2020 è senza dubbio il primo giorno di scuola più atteso di sempre: dopo sei mesi di chiusura, le porte degli istituti scolastici di ogni ordine e grado sono di nuovo aperte.
I ragazzi del Cairoli tornano sui banchi, tra incertezze, difficoltà e misure anti-contagio che rendono difficile la socialità, ma anche con tanta voglia di tornare alla normalità.
Commenta il preside dell’istituto, Salvatore Consolo: “Sono felice di rivedere la scuola animarsi dei miei studenti, ai quali auguro un caloroso benvenuto e un buon anno nuovo. Ne hanno bisogno, dopo sei mesi di lontananza dalla scuola. Penso soprattutto agli studenti di IV ginnasio, che iniziano una nuova avventura, impensabile con la dad”.
Al suono della campanella ci sono 700 ragazzi ai cancelli, ma, rispettando le restrizioni, non tutti alla stessa ora. A ingressi scaglionati ogni 15 minuti, le cinque sezioni della IV ginnasio sono le prime ad entrare: chissà cosa spetta e a cosa vanno incontro i nuovi “cairolini”, così sono chiamati i primini, i nuovi arrivati al liceo.
Dal secondo giorno si parte con i doppi turni, uno alle 8 e uno alle 9:50, con lezioni di 50 minuti. L’orario è provvisorio, vale solo per le prime settimane, poi, probabilmente, tornerà standard e le lezioni dureranno 60 minuti.
Tutti sperano che la didattica continui in presenza e che si possa tornare alla completa normalità, ma la situazione è imprevedibile e ormai non si sa più cosa aspettarsi.
La misure anti contagio sono state effettuate seguendo l’ordine del ministero (distanziamento di un metro tra i banchi, fornitura di mascherine, presenza di distributori di gel disinfettante, intervallo da seduti) ma sta anche ai ragazzi assumersi la responsabilità di comportarsi in maniera adeguata, nel rispetto di se stessi e degli altri, anche al di fuori della scuola.
“Insieme ce la faremo!” dichiara con fiducia il dirigente.
Nel frattempo il tempo vola e suona già la campanella d’uscita, o meglio le due campanelle che scaglionano le due uscite a blocchi delle varie classi. I ragazzi si salutano e, anche se non si vede, perché coperto dalle mascherine, hanno un enorme sorriso stampato sul viso.