Senti chi parla!
In questa pagina si troveranno interviste reali ed immaginarie con lo scopo di fare conoscere la vita di personaggi famosi e non. Il titolo “senti chi parla” aiuta a capire l’obiettivo di questa pagina del blog: ascoltare e riscrivere sotto forma di intervista le esperienze di diverse persone e trarne principi e insegnamenti.
Qui di seguito l'elenco delle nostre interviste impossibili:
-"Intervista a Zenobia"
-"Intervista a Traiano"
-"Intervista a Ipazia"
-"Intervista a Galla Placidia"
-"Intervista a Pirro"
-"Intervista a Nerone"
-"Intervista a Cesare"
-'Sirene con le ali? Racconta Omero'
-'Due chiacchiere con... Calipso'
-'Due chiacchere con... Patroclo'
Qui di seguito l'elenco delle nostre interviste reali:
-Intervista alle Romite Ambrosiane del Sacro Monte di Varese
-Intervista all'autrice Marina Nemat
In questa pagina si troveranno interviste reali ed immaginarie con lo scopo di fare conoscere la vita di personaggi famosi e non. Il titolo “senti chi parla” aiuta a capire l’obiettivo di questa pagina del blog: ascoltare e riscrivere sotto forma di intervista le esperienze di diverse persone e trarne principi e insegnamenti.
Qui di seguito l'elenco delle nostre interviste impossibili:
-"Intervista a Zenobia"
-"Intervista a Traiano"
-"Intervista a Ipazia"
-"Intervista a Galla Placidia"
-"Intervista a Pirro"
-"Intervista a Nerone"
-"Intervista a Cesare"
-'Sirene con le ali? Racconta Omero'
-'Due chiacchiere con... Calipso'
-'Due chiacchere con... Patroclo'
Qui di seguito l'elenco delle nostre interviste reali:
-Intervista alle Romite Ambrosiane del Sacro Monte di Varese
-Intervista all'autrice Marina Nemat
Interviste impossibili
INTERVISTA A ZENOBIA
I: Zenobia, regina del regno di Palmira e donna dalle grandi ambizioni, dopo la morte del marito Settimio Odenato, dà il via ad una politica ostile nei confronti dell’Impero Romano, cercando di liberare il suo regno dal ruolo di vassallo degli imperatori.
Coraggiosa e intelligente, regna fino al 273 d.C. e si rivela uno dei principali protagonisti della storia di quell’epoca.
Salve Zenobia, comincio col dire che è un onore immenso poter parlare con una donna famosa come lei, protagonista di tanti racconti.
Vorrei iniziare chiedendole di parlarci di suo marito e dell’ascesa al potere successiva alla sua morte: come ha affrontato la perdita e preso in mano le sorti del regno?
Z: Vi ringrazio innanzitutto per avermi concesso quest’intervista e per la splendida introduzione. Mio marito, Settimio Odenato, era un uomo molto determinato e coraggioso ed era inoltre estremamente apprezzato a Roma, tanto da ricevere la cittadinanza romana sotto la dinastia dei Severi e da diventare uno degli uomini più importanti dell’epoca.
Il suo unico difetto era la sua ingenuità; penso che Odenato fosse un uomo perfetto ma, per quanto glielo ripetessi, non riusciva a capire di essere solo un burattino nelle mani degli imperatori, che usavano il nostro regno e la sua devozione nei confronti di Roma per assicurarsi di mantenere un potere saldo sulle aree orientali dell’impero.
Quando mio marito morì, fui ovviamente distrutta, ma decisi di non lasciarmi abbattere dal dolore e di prendere in mano la situazione, impegnandomi per rendere il regno di Palmira finalmente libero e indipendente.
I: Zenobia, più nel dettaglio, può parlarci di come è effettivamente diventata regina? Secondo alcune voci suo marito sarebbe stato assassinato proprio per mano sua, è vero?
Z: Assolutamente no, si tratta di voci false ed estremamente dolorose per me da sentire. Anche ai miei tempi, purtroppo, fui accusata diverse volte di essere la mandante dell’assassinio di mio marito e, addirittura, del mio stesso figlio, Erodiano. In molti credevano che, mentre Erodiano e Odenato si trovavano ad un banchetto ad Emesa, io abbia trovato un modo di farli uccidere, sembra avvelenandoli. Si pensa che io abbia ordito questa congiura perché mio marito non voleva saperne di interrompere il rapporto di amicizia con i romani e che, quindi, io abbia incaricato Meonio, mio nipote, di assassinare mio marito e mio figlio Erodiano, legittimo successore al trono.
Secondo le fonti che mi ritengono colpevole avrei risparmiato il mio secondo figlio, Vaballato, in quanto ancora piccolo e facilmente manovrabile; inoltre, avendo lui soltanto un anno alla morte di Odenato, avrei governato io durante i suoi primi anni di vita.
Queste accuse hanno reso la mia ascesa al potere estremamente dolorosa, in quanto in molti pensavano, sbagliando, che io puntassi al trono sin dall’inizio.
Ovviamente non avrei mai potuto fare una cosa simile, amavo mio marito e mio figlio più di quanto amassi me stessa.
I: Grazie per aver risposto, nonostante il dolore che la domanda le ha sicuramente provocato. Se posso permettermi di approfondire, vedo che parla di suo marito con molta dolcezza e nostalgia; qual era il vostro rapporto quando lui era ancora in vita e in cosa lei lo assisteva?
Z: Io e Odenato abbiamo sempre condiviso tutto, incluso il governo di Palmira che, in fondo, era anche mio. L’ho sempre accompagnato durante le sue spedizioni militari, lo sostenevo nei consigli di guerra e capitava spesso che lo accompagnassi persino nelle battute di caccia, oltre a collaborare e
condividere con lui le decisioni di tutti i giorni. Proprio per questo nostro legame particolare non ho esitato, alla sua morte, a prendere il potere, per evitare che tutto il suo o, meglio, il nostro operato andasse perso. Ho fatto del mio meglio perché i romani non prendessero il sopravvento cancellando noi e tutto ciò che avevamo costruito, ma a quanto pare non è bastato. Penso comunque di aver dato il massimo ed è proprio per questo che Odenato mi ha presa in moglie, perché sono una persona disposta a combattere per ciò in cui credo. A lui piaceva questo tratto di me e io, da parte mia, non mi preoccupavo di nasconderlo, facendomi spesso ritrarre anche in statue e dipinti con abiti militari ed elmo.
I: E da un punto di vista pratico, Zenobia, puoi dirci come hai gestito il potere una volta che ti sei ritrovata regina sola e incontrastata?
Z: La prima cosa che feci quando presi il potere, nel 267 d.C. fu trasformare il regno in una monarchia indipendente, sottraendomi al potere di Roma e autoproclamandomi Augusta, attribuendomi inoltre il titolo divino di Discendente di Cleopatra. Per i primi anni del mio regno rimasi in buoni rapporti con Roma, limitandomi a fortificare territori come la Cilicia, la Mesopotamia, l’Arabia e la Siria, che mio marito aveva lasciato nelle mie mani. Nel 269 d.C. iniziò la mia politica espansionistica verso i confini romani e riuscii nel 270 a conquistare Bitinia ed Egitto. In quell’anno il mio regno raggiunse il suo massimo splendore e Aureliano stesso dovette riconoscere le mie abilità, così come il titolo di Augusta e di Regina d’Egitto che mi ero guadagnata.
Fu negli anni successivi che il regno di Palmira cominciò il suo declino, in particolare nel momento in cui decisi di far battere monete con la mia sola effigie raffigurata e iniziai a presentarmi in pubblico con il manto color porpora tipico degli imperatori. Aureliano decise di prendere dei provvedimenti, mise Palmira sotto assedio e io e mio figlio finimmo per essere catturati mentre cercavamo di metterci in salvo attraversando l’Eufrate.
Soffro ancora ripensando a come nel 273 d.C. Palmira venne saccheggiata, divenendo una base militare per le legioni romane.
Da quello che so, inoltre, in questo momento la mia amata terra è inaccessibile, in quanto zona di guerra conquistata dall’ISIS, il che non fa che rattristarmi di più.
I: Grazie mille Zenobia, è stato un’intervista decisamente interessante, che permetterà sicuramente a molte persone di conoscerti un po’ più a fondo.
I: Zenobia, regina del regno di Palmira e donna dalle grandi ambizioni, dopo la morte del marito Settimio Odenato, dà il via ad una politica ostile nei confronti dell’Impero Romano, cercando di liberare il suo regno dal ruolo di vassallo degli imperatori.
Coraggiosa e intelligente, regna fino al 273 d.C. e si rivela uno dei principali protagonisti della storia di quell’epoca.
Salve Zenobia, comincio col dire che è un onore immenso poter parlare con una donna famosa come lei, protagonista di tanti racconti.
Vorrei iniziare chiedendole di parlarci di suo marito e dell’ascesa al potere successiva alla sua morte: come ha affrontato la perdita e preso in mano le sorti del regno?
Z: Vi ringrazio innanzitutto per avermi concesso quest’intervista e per la splendida introduzione. Mio marito, Settimio Odenato, era un uomo molto determinato e coraggioso ed era inoltre estremamente apprezzato a Roma, tanto da ricevere la cittadinanza romana sotto la dinastia dei Severi e da diventare uno degli uomini più importanti dell’epoca.
Il suo unico difetto era la sua ingenuità; penso che Odenato fosse un uomo perfetto ma, per quanto glielo ripetessi, non riusciva a capire di essere solo un burattino nelle mani degli imperatori, che usavano il nostro regno e la sua devozione nei confronti di Roma per assicurarsi di mantenere un potere saldo sulle aree orientali dell’impero.
Quando mio marito morì, fui ovviamente distrutta, ma decisi di non lasciarmi abbattere dal dolore e di prendere in mano la situazione, impegnandomi per rendere il regno di Palmira finalmente libero e indipendente.
I: Zenobia, più nel dettaglio, può parlarci di come è effettivamente diventata regina? Secondo alcune voci suo marito sarebbe stato assassinato proprio per mano sua, è vero?
Z: Assolutamente no, si tratta di voci false ed estremamente dolorose per me da sentire. Anche ai miei tempi, purtroppo, fui accusata diverse volte di essere la mandante dell’assassinio di mio marito e, addirittura, del mio stesso figlio, Erodiano. In molti credevano che, mentre Erodiano e Odenato si trovavano ad un banchetto ad Emesa, io abbia trovato un modo di farli uccidere, sembra avvelenandoli. Si pensa che io abbia ordito questa congiura perché mio marito non voleva saperne di interrompere il rapporto di amicizia con i romani e che, quindi, io abbia incaricato Meonio, mio nipote, di assassinare mio marito e mio figlio Erodiano, legittimo successore al trono.
Secondo le fonti che mi ritengono colpevole avrei risparmiato il mio secondo figlio, Vaballato, in quanto ancora piccolo e facilmente manovrabile; inoltre, avendo lui soltanto un anno alla morte di Odenato, avrei governato io durante i suoi primi anni di vita.
Queste accuse hanno reso la mia ascesa al potere estremamente dolorosa, in quanto in molti pensavano, sbagliando, che io puntassi al trono sin dall’inizio.
Ovviamente non avrei mai potuto fare una cosa simile, amavo mio marito e mio figlio più di quanto amassi me stessa.
I: Grazie per aver risposto, nonostante il dolore che la domanda le ha sicuramente provocato. Se posso permettermi di approfondire, vedo che parla di suo marito con molta dolcezza e nostalgia; qual era il vostro rapporto quando lui era ancora in vita e in cosa lei lo assisteva?
Z: Io e Odenato abbiamo sempre condiviso tutto, incluso il governo di Palmira che, in fondo, era anche mio. L’ho sempre accompagnato durante le sue spedizioni militari, lo sostenevo nei consigli di guerra e capitava spesso che lo accompagnassi persino nelle battute di caccia, oltre a collaborare e
condividere con lui le decisioni di tutti i giorni. Proprio per questo nostro legame particolare non ho esitato, alla sua morte, a prendere il potere, per evitare che tutto il suo o, meglio, il nostro operato andasse perso. Ho fatto del mio meglio perché i romani non prendessero il sopravvento cancellando noi e tutto ciò che avevamo costruito, ma a quanto pare non è bastato. Penso comunque di aver dato il massimo ed è proprio per questo che Odenato mi ha presa in moglie, perché sono una persona disposta a combattere per ciò in cui credo. A lui piaceva questo tratto di me e io, da parte mia, non mi preoccupavo di nasconderlo, facendomi spesso ritrarre anche in statue e dipinti con abiti militari ed elmo.
I: E da un punto di vista pratico, Zenobia, puoi dirci come hai gestito il potere una volta che ti sei ritrovata regina sola e incontrastata?
Z: La prima cosa che feci quando presi il potere, nel 267 d.C. fu trasformare il regno in una monarchia indipendente, sottraendomi al potere di Roma e autoproclamandomi Augusta, attribuendomi inoltre il titolo divino di Discendente di Cleopatra. Per i primi anni del mio regno rimasi in buoni rapporti con Roma, limitandomi a fortificare territori come la Cilicia, la Mesopotamia, l’Arabia e la Siria, che mio marito aveva lasciato nelle mie mani. Nel 269 d.C. iniziò la mia politica espansionistica verso i confini romani e riuscii nel 270 a conquistare Bitinia ed Egitto. In quell’anno il mio regno raggiunse il suo massimo splendore e Aureliano stesso dovette riconoscere le mie abilità, così come il titolo di Augusta e di Regina d’Egitto che mi ero guadagnata.
Fu negli anni successivi che il regno di Palmira cominciò il suo declino, in particolare nel momento in cui decisi di far battere monete con la mia sola effigie raffigurata e iniziai a presentarmi in pubblico con il manto color porpora tipico degli imperatori. Aureliano decise di prendere dei provvedimenti, mise Palmira sotto assedio e io e mio figlio finimmo per essere catturati mentre cercavamo di metterci in salvo attraversando l’Eufrate.
Soffro ancora ripensando a come nel 273 d.C. Palmira venne saccheggiata, divenendo una base militare per le legioni romane.
Da quello che so, inoltre, in questo momento la mia amata terra è inaccessibile, in quanto zona di guerra conquistata dall’ISIS, il che non fa che rattristarmi di più.
I: Grazie mille Zenobia, è stato un’intervista decisamente interessante, che permetterà sicuramente a molte persone di conoscerti un po’ più a fondo.
INTERVISTA A TRAIANO
I: Buonasera, oggi siamo qui per intervistare Marco Ulpio Nerva Traiano, conosciuto più semplicemente come Traiano, l’imperatore che portò Roma alla sua massima espansione, dal 98 al 117 d.C. Nerva, suo precessore, lo scelse come princeps dell’impero dopo di lui. Con Nerva, infatti, nacque il principato per adozione: è l’imperatore che decide il suo successore, una persona fuori dall’ambito famigliare, ritenuta idonea e capace di governare un regno come l’Impero Romano. Il nostro Traiano sarà dunque il primo imperatore scelto.
Allora Traiano, questa sera, come prima domanda, ci viene da chiederti: come mai il vecchio senatore ha scelto proprio te per governare il Regno?
T: Io e Nerva non ci siamo mai conosciuti di persona, probabilmente perché ha regnato per soli due anni. Infatti, quando mi è arrivata voce che sarei divenuto imperatore, ero impegnato a combattere contro i Germani. Credo che mi abbia scelto perché in quel periodo mi ero distinto in diverse vittorie militari. Inoltre, Nerva non era mai riuscito a farsi accettare completamente dall’esercito, che, dopo i favoritismi di Domiziano, pretendeva molto dall’imperatore. Io, invece, conquistando diversi territori e portando così Roma alla massima espansione, sono riuscito in quest’intento.
I: Tu, inoltre, sei stato il primo imperatore a non avere origini italiche. Cosa sai dirci a proposito di ciò?
T: Sì, io provengo dalla Spagna. Mia madre Marcia era di origini iberiche, mentre mio padre, che portava il mio stesso nome, era un antico senatore e successivamente proconsole nell’Hispania Baetica, provincia iberica. Egli è stato uno dei primi membri del senato a non doversi trasferire a Roma per compiere la sua carica. Dopo aver combattuto per Vespasiano, mio padre è passato alla classe sociale dei patrizi nel 73. Perciò credo che la mia origine sia stata accettata a Roma, oltre che per i miei successi militari, anche per l’importante posizione sociale di mio padre.
I: Allora Traiano, a questo punto, dicci qualcosa di più sulla tua vita privata. Conosci il detto: ‘Al fianco di ogni grande uomo, c’è sempre una grande donna’? Nel tuo caso, sei stato supportato e aiutato da tre donne molto importanti per te e per la società Romana, correggimi se sbaglio.”
T: Sì, conosco il detto e no, non ti sbagli.
Ho avuto la fortuna di avere al mio fianco, non una, ma tre grandi donne e tutte e tre hanno ricevuto il titolo onorifico di Augusta. La prima è stata Ulpia Marciana, mia sorella. Durante la sta vita ha viaggiato molto spesso per tutto l'impero e le è stato reso onore con statue, monumenti e iscrizioni ovunque. Per me è stata una grande consigliera; alla sua morte l’ho divinizzata e le ho dedicato due
città: Marcianopolis in Bulgaria e Colonia Marciana Ulpia Traiana in Algeria. La seconda è stata mia moglie Plotina, nata a Nemasus. Era una donna molto colta e nota per la sua modestia e riservatezza. Purtroppo non abbiamo avuto dei figli, per cui Plotina si è presa cura di Adriano, che era rimasto orfano di padre a dieci anni. È stata infatti lei a convincermi ad adottarlo e a sceglierlo come mio successore. Adriano è stato così riconoscente nei confronti di mia moglie che nel 123 la divinizzò.
L’ultima, invece, è stata la mia pronipote Matidia Minore, figlia di Salonina Matidia a sua volta figlia di Ulpia Marciana. Matidia è stata promotrice, a Sessa Aurunca, di tutta una serie di opere pubbliche come la biblioteca, una strada extraurbana e la ristrutturazione del teatro.
Nonostante non si sia dato molto risalto nei loro confronti, e ciò mi addolora molto, loro hanno avuto un peso non indifferente nelle mie scelte politiche e ideologiche, dandomi un notevole aiuto. Tra l’altro, poi, sono state assunte come modello di comportamento dalle donne romane.
I: Sappiamo bene che, sotto il tuo comando, l’impero romano ha raggiunto la sua massima estensione, ma quello che volevamo chiederti è: come ci sei riuscito? E soprattutto, come ti senti riguardo a ciò?
T: Devo dire che mi ritengo molto fiero di quello che ho fatto; sapere che sono colui che è riuscito a portare l’estensione del nostro impero alla sua massima grandezza è davvero gratificante e sono molto rammaricato del fatto che i miei successori hanno poi perso territori, fino alla completa disgregazione dell’impero stesso.
Non penso sia difficile capire come io sia riuscito ad estendere così tanto l’impero; seguito dal mio fedele esercito, ho conquistato la Dacia per prima, intorno al primo decennio del primo secolo e poi, con molte campagne militari, ho allargato i confini ad est, invadendo i Parti e inviando un reggente, ovvero un mio governante, in Armenia; dopo queste conquiste, ho proseguito verso sud, occupando
Babilonia e, per estensione, la Mesopotamia, che è diventata in quell’occasione provincia. Purtroppo ho potuto aiutare poco durante la ribellione di questi popoli, perché sono morto proprio in quegli anni.
I: Hai dedicato tanta cura all’arte bellica, ma per quanto riguarda la politica interna? Vorremmo sapere come ti sei comportato con i cittadini romani perché molti dei tuoi predecessori hanno causato l’ira del popolo, mentre altri sono stati amati e onorati.
T: Sono sempre stato molto interessato alle condizioni dei miei cittadini e mi sono impegnato al massimo per garantire l’onestà e l’efficienza dell’amministrazione e della giustizia, vigilando da vicino sull’operato dei governatori delle province, ho bandito le accuse anonime e le condanne in mancanza di prove o in presenza di qualsiasi dubbio. Per quanto riguarda l’economia, mi sono occupato di riorganizzare la burocrazia e ho istituito leggi a favore della piccola proprietà contadina, alleggerendo alcune imposte. Tuttavia, per arricchire il fisco, ho venduto i beni che i precedenti imperatori avevano accumulato nel proprio patrimonio.
Nel tentativo di risollevare l’economia italica ho convinto i senatori a investire sul territorio italiano un terzo dei loro capitali. Uno dei miei provvedimenti fondamentali sono stati gli Alimenta, una rendita destinata a fornire mezzi di sussistenza a bambini orfani o poveri, organizzata in modo tale da rappresentare una forma di prestito agrario per agevolare l’agricoltura italiana. Il mio obiettivo non era solamente quello di aiutare gli orfani e i bisognosi che, attraverso questa forma di sostentamento,
avrebbero potuto studiare, ma anche la ripresa dell’economia romana, stretta com'era tra la crisi economica e la contrazione demografica. Una problematica molto importante era rappresentata dai cristiani, verso i quali sono stato intransigente, rimanendo nei principi di giustizia del diritto romano, istruendo i giudici a non tener conto delle denunce anonime, a dar luogo a processi solo dietro precise accuse, senza ricercare preventivamente i cristiani e a condannare questi solo se ostinati.
Ti posso riassumere più semplicemente con questa mia celebre frase: “Tratto tutti come vorrei che l’Imperatore trattasse me, se fossi un privato cittadino.”
I: Anche se sei conosciuto maggiormente per le tue imprese militari, sappiamo che hai prestato molta attenzione alla cultura e all’edilizia. Ci vuoi raccontare come e perché ti sei occupato anche di questo aspetto?
T: Certamente. Volevo lasciare nella mia città una testimonianza della mia presenza, quindi, parallelamente alle conquiste territoriali, ho cercato di applicare un vasto programma di edilizia.
Sicuramente la conquista della Dacia mi è stata molto utile, infatti le miniere d’oro lì presenti hanno permesso lo svolgimento di grandi opere pubbliche a Roma. Grazie a queste ho fatto costruire i Mercati traianei che, posti sulle pendici del colle Quirinale, erano un insieme di edifici costruiti in laterizio tra il 94 e il 113 d.C., disposti su 6 livelli e collegati tra loro da scale. Erano destinati a sede delle attività commerciali e a quelle amministrative collegate ai Fori imperiali.
I: Non so se ne sei a conoscenza, ma questa tua costruzione è tuttora presente a Roma! Inoltre da qualche anno ospita il ‘Museo dei Fori imperiali’.
T: Fantastico! Era proprio questo il mio intento, fare in modo di lasciare un segno nella storia. Comunque, proprio a un passo dei Mercati traianei, svettava la Colonna traiana, che raccontava ed elogiava le imprese da me compiute oltre il Danubio. Questa è stata anche usata come tomba per le mie ceneri e per quelle di mia moglie Plotina. Inoltre, come tutti gli imperatori, ero molto attento all’immagine pubblica, infatti il mio volto è apparso in molti ritratti e anche nelle monete, che mi hanno reso popolare in tutto l’impero. Un’altra importante costruzione è stato il mio celebre arco, nei pressi di Benevento, edificato in occasione dell’apertura della via Traiana. La mia scena preferita sull’arco era la raffigurazione degli institutio alimentaria. Oltre a queste costruzioni c’erano anche il Foro di Traiano, il più esteso e monumentale dei Fori Imperiali di Roma, e le terme progettate apposta per me sulla sommità del Colle Oppio.
I: Va bene Traiano, le domande per quest’oggi sono finite. Ci farebbe molto piacere stare qui a parlare con te, ma, purtroppo, il tempo a nostra disposizione è terminato. Grazie di cuore per averci concesso l’opportunità di parlare insieme a te.”
T: Figurati, sarà per un’altra volta. Grazie a te per avermi ascoltato.”
I: Buonasera, oggi siamo qui per intervistare Marco Ulpio Nerva Traiano, conosciuto più semplicemente come Traiano, l’imperatore che portò Roma alla sua massima espansione, dal 98 al 117 d.C. Nerva, suo precessore, lo scelse come princeps dell’impero dopo di lui. Con Nerva, infatti, nacque il principato per adozione: è l’imperatore che decide il suo successore, una persona fuori dall’ambito famigliare, ritenuta idonea e capace di governare un regno come l’Impero Romano. Il nostro Traiano sarà dunque il primo imperatore scelto.
Allora Traiano, questa sera, come prima domanda, ci viene da chiederti: come mai il vecchio senatore ha scelto proprio te per governare il Regno?
T: Io e Nerva non ci siamo mai conosciuti di persona, probabilmente perché ha regnato per soli due anni. Infatti, quando mi è arrivata voce che sarei divenuto imperatore, ero impegnato a combattere contro i Germani. Credo che mi abbia scelto perché in quel periodo mi ero distinto in diverse vittorie militari. Inoltre, Nerva non era mai riuscito a farsi accettare completamente dall’esercito, che, dopo i favoritismi di Domiziano, pretendeva molto dall’imperatore. Io, invece, conquistando diversi territori e portando così Roma alla massima espansione, sono riuscito in quest’intento.
I: Tu, inoltre, sei stato il primo imperatore a non avere origini italiche. Cosa sai dirci a proposito di ciò?
T: Sì, io provengo dalla Spagna. Mia madre Marcia era di origini iberiche, mentre mio padre, che portava il mio stesso nome, era un antico senatore e successivamente proconsole nell’Hispania Baetica, provincia iberica. Egli è stato uno dei primi membri del senato a non doversi trasferire a Roma per compiere la sua carica. Dopo aver combattuto per Vespasiano, mio padre è passato alla classe sociale dei patrizi nel 73. Perciò credo che la mia origine sia stata accettata a Roma, oltre che per i miei successi militari, anche per l’importante posizione sociale di mio padre.
I: Allora Traiano, a questo punto, dicci qualcosa di più sulla tua vita privata. Conosci il detto: ‘Al fianco di ogni grande uomo, c’è sempre una grande donna’? Nel tuo caso, sei stato supportato e aiutato da tre donne molto importanti per te e per la società Romana, correggimi se sbaglio.”
T: Sì, conosco il detto e no, non ti sbagli.
Ho avuto la fortuna di avere al mio fianco, non una, ma tre grandi donne e tutte e tre hanno ricevuto il titolo onorifico di Augusta. La prima è stata Ulpia Marciana, mia sorella. Durante la sta vita ha viaggiato molto spesso per tutto l'impero e le è stato reso onore con statue, monumenti e iscrizioni ovunque. Per me è stata una grande consigliera; alla sua morte l’ho divinizzata e le ho dedicato due
città: Marcianopolis in Bulgaria e Colonia Marciana Ulpia Traiana in Algeria. La seconda è stata mia moglie Plotina, nata a Nemasus. Era una donna molto colta e nota per la sua modestia e riservatezza. Purtroppo non abbiamo avuto dei figli, per cui Plotina si è presa cura di Adriano, che era rimasto orfano di padre a dieci anni. È stata infatti lei a convincermi ad adottarlo e a sceglierlo come mio successore. Adriano è stato così riconoscente nei confronti di mia moglie che nel 123 la divinizzò.
L’ultima, invece, è stata la mia pronipote Matidia Minore, figlia di Salonina Matidia a sua volta figlia di Ulpia Marciana. Matidia è stata promotrice, a Sessa Aurunca, di tutta una serie di opere pubbliche come la biblioteca, una strada extraurbana e la ristrutturazione del teatro.
Nonostante non si sia dato molto risalto nei loro confronti, e ciò mi addolora molto, loro hanno avuto un peso non indifferente nelle mie scelte politiche e ideologiche, dandomi un notevole aiuto. Tra l’altro, poi, sono state assunte come modello di comportamento dalle donne romane.
I: Sappiamo bene che, sotto il tuo comando, l’impero romano ha raggiunto la sua massima estensione, ma quello che volevamo chiederti è: come ci sei riuscito? E soprattutto, come ti senti riguardo a ciò?
T: Devo dire che mi ritengo molto fiero di quello che ho fatto; sapere che sono colui che è riuscito a portare l’estensione del nostro impero alla sua massima grandezza è davvero gratificante e sono molto rammaricato del fatto che i miei successori hanno poi perso territori, fino alla completa disgregazione dell’impero stesso.
Non penso sia difficile capire come io sia riuscito ad estendere così tanto l’impero; seguito dal mio fedele esercito, ho conquistato la Dacia per prima, intorno al primo decennio del primo secolo e poi, con molte campagne militari, ho allargato i confini ad est, invadendo i Parti e inviando un reggente, ovvero un mio governante, in Armenia; dopo queste conquiste, ho proseguito verso sud, occupando
Babilonia e, per estensione, la Mesopotamia, che è diventata in quell’occasione provincia. Purtroppo ho potuto aiutare poco durante la ribellione di questi popoli, perché sono morto proprio in quegli anni.
I: Hai dedicato tanta cura all’arte bellica, ma per quanto riguarda la politica interna? Vorremmo sapere come ti sei comportato con i cittadini romani perché molti dei tuoi predecessori hanno causato l’ira del popolo, mentre altri sono stati amati e onorati.
T: Sono sempre stato molto interessato alle condizioni dei miei cittadini e mi sono impegnato al massimo per garantire l’onestà e l’efficienza dell’amministrazione e della giustizia, vigilando da vicino sull’operato dei governatori delle province, ho bandito le accuse anonime e le condanne in mancanza di prove o in presenza di qualsiasi dubbio. Per quanto riguarda l’economia, mi sono occupato di riorganizzare la burocrazia e ho istituito leggi a favore della piccola proprietà contadina, alleggerendo alcune imposte. Tuttavia, per arricchire il fisco, ho venduto i beni che i precedenti imperatori avevano accumulato nel proprio patrimonio.
Nel tentativo di risollevare l’economia italica ho convinto i senatori a investire sul territorio italiano un terzo dei loro capitali. Uno dei miei provvedimenti fondamentali sono stati gli Alimenta, una rendita destinata a fornire mezzi di sussistenza a bambini orfani o poveri, organizzata in modo tale da rappresentare una forma di prestito agrario per agevolare l’agricoltura italiana. Il mio obiettivo non era solamente quello di aiutare gli orfani e i bisognosi che, attraverso questa forma di sostentamento,
avrebbero potuto studiare, ma anche la ripresa dell’economia romana, stretta com'era tra la crisi economica e la contrazione demografica. Una problematica molto importante era rappresentata dai cristiani, verso i quali sono stato intransigente, rimanendo nei principi di giustizia del diritto romano, istruendo i giudici a non tener conto delle denunce anonime, a dar luogo a processi solo dietro precise accuse, senza ricercare preventivamente i cristiani e a condannare questi solo se ostinati.
Ti posso riassumere più semplicemente con questa mia celebre frase: “Tratto tutti come vorrei che l’Imperatore trattasse me, se fossi un privato cittadino.”
I: Anche se sei conosciuto maggiormente per le tue imprese militari, sappiamo che hai prestato molta attenzione alla cultura e all’edilizia. Ci vuoi raccontare come e perché ti sei occupato anche di questo aspetto?
T: Certamente. Volevo lasciare nella mia città una testimonianza della mia presenza, quindi, parallelamente alle conquiste territoriali, ho cercato di applicare un vasto programma di edilizia.
Sicuramente la conquista della Dacia mi è stata molto utile, infatti le miniere d’oro lì presenti hanno permesso lo svolgimento di grandi opere pubbliche a Roma. Grazie a queste ho fatto costruire i Mercati traianei che, posti sulle pendici del colle Quirinale, erano un insieme di edifici costruiti in laterizio tra il 94 e il 113 d.C., disposti su 6 livelli e collegati tra loro da scale. Erano destinati a sede delle attività commerciali e a quelle amministrative collegate ai Fori imperiali.
I: Non so se ne sei a conoscenza, ma questa tua costruzione è tuttora presente a Roma! Inoltre da qualche anno ospita il ‘Museo dei Fori imperiali’.
T: Fantastico! Era proprio questo il mio intento, fare in modo di lasciare un segno nella storia. Comunque, proprio a un passo dei Mercati traianei, svettava la Colonna traiana, che raccontava ed elogiava le imprese da me compiute oltre il Danubio. Questa è stata anche usata come tomba per le mie ceneri e per quelle di mia moglie Plotina. Inoltre, come tutti gli imperatori, ero molto attento all’immagine pubblica, infatti il mio volto è apparso in molti ritratti e anche nelle monete, che mi hanno reso popolare in tutto l’impero. Un’altra importante costruzione è stato il mio celebre arco, nei pressi di Benevento, edificato in occasione dell’apertura della via Traiana. La mia scena preferita sull’arco era la raffigurazione degli institutio alimentaria. Oltre a queste costruzioni c’erano anche il Foro di Traiano, il più esteso e monumentale dei Fori Imperiali di Roma, e le terme progettate apposta per me sulla sommità del Colle Oppio.
I: Va bene Traiano, le domande per quest’oggi sono finite. Ci farebbe molto piacere stare qui a parlare con te, ma, purtroppo, il tempo a nostra disposizione è terminato. Grazie di cuore per averci concesso l’opportunità di parlare insieme a te.”
T: Figurati, sarà per un’altra volta. Grazie a te per avermi ascoltato.”
INTERVISTA A IPAZIA
I: Abbiamo deciso di intervistare una giovane filosofa e aritmetica di Alessandria d’Egitto, la bella Ipazia. Nata nel 370, Ipazia ha intrapreso una notevole carriera come filosofa, matematica e degna cittadina, dopo avere studiato e viaggiato molto tra Roma e Atene. Ha insegnato filosofia a numerosi studiosi, che accorrevano da lontano per assistere alla sua dottrina e ha scritto molti trattati e commenti per matematici e aritmetici. Per difendere la sua libertà, tuttavia, ha dovuto sacrificare la vita.
Buonasera, Ipazia! Grazie di aver accettato il nostro invito a questa intervista. Come ti senti?
I: Grazie a voi, è sempre un onore poter rispondere a queste domande. Sapendo che anche in pericolo di vita non ho dovuto convertirmi al cristianesimo e sono onorabilmente morta come pagana, mi sento benissimo.
I: Va bene, ci fa molto piacere. Prima di tutto, vorremmo sapere che rapporto avevi con tuo padre, Teone, il quale, come sappiamo, ti ha sempre educata e sostenuta.
I: Mio padre è stato un grande punto di riferimento per me. Sin da piccola, cercando di capire cosa intendesse, provavo a fare sempre qualcosa per lui, come un’assistente, e più tardi, come una discepola, facevo di tutto per apprendere tutto ciò che potessi da lui. Una grande passione che mi ha tramandato è scrivere edizioni commentate di opere scientifiche e matematiche, cosa che a lui come a me, era sempre piaciuta. Era un uomo molto creativo e, infatti, una gran parte delle invenzioni che sono state attribuite a me (l’astrolabio, il planisfero, l’idrometro, per esempio) erano tutte perfezionate da lui, che, nel momento in cui ebbi grande successo, risultò essere molto fiero. Alla fine della sua vita, negli anni in cui ero già politicamente conosciuta, temeva molto per me. Mi chiedeva sempre di convertirmi e non rischiare in una situazione così aggravata, dove i pagani venivano ormai perseguitati, ma, se devo dire la verità, fu il suo unico consiglio che non ascoltai. Sono molto importanti alcuni suoi scritti: il commento agli Elementi di Euclide e l’Aritmetica di Diofanto, che provai a commentare anche io.
I: Ci puoi spiegare come si ritrova ad essere Alessandria nel momento in cui fu ratificato l’Editto di Tessalonica del 380?
I: Io nacqui esattamente dieci anni prima che l’Editto fosse ratificato e, nonostante fossi una bambina, mi ricordo che non iniziarono immediatamente le persecuzioni. Tuttavia, a Milano il 24 febbraio 391 Teodosio proclamò una serie di “Decreti teodosiani”, nei quali mise al bando ogni genere di sacrificio pagano, anche in forma privata, sancì il divieto di ingresso nei templi, proibì l’atto di avvicinarsi ai santuari e l’adorazione di statue e manufatti. I decreti inasprirono le numerose proibizioni per noi pagani e nel 392 si diede il via a delle vere e proprie persecuzioni al Paganesimo. È in quell’anno che Alessandria, la culla dell’Ellenismo, scelta poi come centro episcopale insieme a Roma, divenne un cumulo di macerie: furono distrutti molti templi e sebbene chi violasse le regole, secondo la legge, dovesse solo essere multato,
veniva picchiato malamente in mezzo alle strade, ucciso e lasciato inerme. È per questo motivo, poi, che molti studiosi, discepoli e viaggiatori non avrebbero più avuto aspirazione ad andare verso Alessandria. In particolare, la distruzione del Serapeum, tempio in onore di Serapide, Signore dell’Universo, dell’Oltretomba, della fecondità e del Sole, mi spezzò il cuore: mio padre era il rettore del tempio, che frequentavo assiduamente. Comunque, so che oggi, ad Alessandria d’Egitto, è possibile visitarlo, anche se non è mai stato ristrutturato in modo tale da sembrare quello di prima.
I: Ci piacerebbe sapere come mai, nonostante rischiassi la morte, non ti sei mai convertita al cristianesimo?
I: Se devo essere onesta, questa è una domanda difficile. La mia scelta, in realtà, non fu propriamente legata alla religione. Io credo in una vita senza compromessi, in cui non sono obbligata a piegarmi a dei dogmi: non volevo diventare una marionetta nelle mani dei potenti. Il mio fu un cammino fatto di indipendenza e di bellezza dove la ricerca della verità del mondo conduce alla verità su sé stessi. Il mio esempio è stato talmente luminoso da far sparire altre grandi donne dell’antichità, come Gorgo, regina di Sparta o la leggendaria Clelia romana: due donne considerate grandi perché esaltano la morale della società alla quale appartenevano, enormi esempi di virtù e conformismo.
Non mi sono mai pentita di non essermi convertita, nonostante mi sia costata la morte, non ho mai voluto che la mia fosse una vita insignificante e, grazie al mio sacrificio, non lo è stata.
I: Come ci si sente ad essere stata una delle donne più influenti della tua epoca?
I: Sono sempre stata appassionata di matematica, filosofia e astronomia. Sicuramente anche grazie agli insegnamenti di mio padre, ho capito che lo studio è fondamentale per poter fare parte attivamente della società. Purtroppo nella mia epoca era complicato per una donna riuscire a studiare e avere la possibilità di creare una propria identità. Mi ritengo fortunata ad aver avuto il sostegno di mio padre, che sin da piccola mi ha dato piena libertà nella scelta di cosa studiare. Ciò mi ha permesso di non sottostare alle rigide regole della mia società. Penso infatti che studiare sia un mezzo per fare delle scelte, come nel mio caso di non convertirmi al cristianesimo, e riuscire a motivare queste. Molte donne, nella mia epoca, non hanno avuto la possibilità di decidere la propria sorte, a differenza mia che, pur essendo stata uccisa per le mie scelte, ho vissuto lottando per ottenere ciò che volevo, senza sottostare a nessuno, e per questo mi sento molto fortunata. Ritengo che ogni donna debba avere la possibilità di scegliere cosa fare nella propria vita esattamente come un uomo. Mi auguro di poter essere da esempio per delle donne che hanno paura di emergere e che, pur di non ribellarsi, non vivono la loro vita da protagoniste.
I: Non hai mai pensato di essere nata nell’epoca sbagliata e cosa pensi delle persecuzioni in generale?
I: A dirla tutta, lo pensavo spesso. Immaginavo come sarebbe stato vivere in un’altra epoca senza essere perseguitati dai cristiani. Ero a conoscenza del fatto che c’erano state numerose persecuzioni contro di loro da parte di imperatori come Diocleziano e Decio, ma non ci ho mai dato molto peso e non ho mai pensato alla crudeltà con cui questi venivano torturati, finché non l’ho provato sulla mia stessa pelle. Se prima ero dell’idea che perseguitare i cristiani non era un male, dopo averlo provato io stessa in prima persona, ho cambiato radicalmente opinione, capendo che assalire degli individui solamente per il loro credo, non è mai un bene, in nessun caso. Avendo io rifiutato di convertirmi al cristianesimo, ne ho pagato le conseguenze e, ribadisco ancora una volta, che non è accettabile perseguitare qualcuno solamente per il suo credo e le sue convinzioni. Ho sofferto molto quando il mio amico Oreste fu ucciso dai seguaci di Cirillo e, grazie a questo evento, mi ritengo capace di capire come si sentono le persone che hanno perso dei loro cari per colpa di una credenza comune nel tempo in cui vivono. Quindi, alcune volte, penso ancora a come sarebbe stata la mia vita senza essere torturata e uccisa dai cristiani, ma poi capisco anche che, probabilmente, questi avvenimenti hanno rafforzato ancora di più il mio credo, le mie convinzioni, portandomi e a sostenere le mie conoscenze al punto di perdere addirittura la vita.
I: Grazie Ipazia, per oggi questo è tutto! Siamo onorati di aver parlato con una donna forte, libera e determinata come te.
I: Grazie a voi. A presto!
I: Abbiamo deciso di intervistare una giovane filosofa e aritmetica di Alessandria d’Egitto, la bella Ipazia. Nata nel 370, Ipazia ha intrapreso una notevole carriera come filosofa, matematica e degna cittadina, dopo avere studiato e viaggiato molto tra Roma e Atene. Ha insegnato filosofia a numerosi studiosi, che accorrevano da lontano per assistere alla sua dottrina e ha scritto molti trattati e commenti per matematici e aritmetici. Per difendere la sua libertà, tuttavia, ha dovuto sacrificare la vita.
Buonasera, Ipazia! Grazie di aver accettato il nostro invito a questa intervista. Come ti senti?
I: Grazie a voi, è sempre un onore poter rispondere a queste domande. Sapendo che anche in pericolo di vita non ho dovuto convertirmi al cristianesimo e sono onorabilmente morta come pagana, mi sento benissimo.
I: Va bene, ci fa molto piacere. Prima di tutto, vorremmo sapere che rapporto avevi con tuo padre, Teone, il quale, come sappiamo, ti ha sempre educata e sostenuta.
I: Mio padre è stato un grande punto di riferimento per me. Sin da piccola, cercando di capire cosa intendesse, provavo a fare sempre qualcosa per lui, come un’assistente, e più tardi, come una discepola, facevo di tutto per apprendere tutto ciò che potessi da lui. Una grande passione che mi ha tramandato è scrivere edizioni commentate di opere scientifiche e matematiche, cosa che a lui come a me, era sempre piaciuta. Era un uomo molto creativo e, infatti, una gran parte delle invenzioni che sono state attribuite a me (l’astrolabio, il planisfero, l’idrometro, per esempio) erano tutte perfezionate da lui, che, nel momento in cui ebbi grande successo, risultò essere molto fiero. Alla fine della sua vita, negli anni in cui ero già politicamente conosciuta, temeva molto per me. Mi chiedeva sempre di convertirmi e non rischiare in una situazione così aggravata, dove i pagani venivano ormai perseguitati, ma, se devo dire la verità, fu il suo unico consiglio che non ascoltai. Sono molto importanti alcuni suoi scritti: il commento agli Elementi di Euclide e l’Aritmetica di Diofanto, che provai a commentare anche io.
I: Ci puoi spiegare come si ritrova ad essere Alessandria nel momento in cui fu ratificato l’Editto di Tessalonica del 380?
I: Io nacqui esattamente dieci anni prima che l’Editto fosse ratificato e, nonostante fossi una bambina, mi ricordo che non iniziarono immediatamente le persecuzioni. Tuttavia, a Milano il 24 febbraio 391 Teodosio proclamò una serie di “Decreti teodosiani”, nei quali mise al bando ogni genere di sacrificio pagano, anche in forma privata, sancì il divieto di ingresso nei templi, proibì l’atto di avvicinarsi ai santuari e l’adorazione di statue e manufatti. I decreti inasprirono le numerose proibizioni per noi pagani e nel 392 si diede il via a delle vere e proprie persecuzioni al Paganesimo. È in quell’anno che Alessandria, la culla dell’Ellenismo, scelta poi come centro episcopale insieme a Roma, divenne un cumulo di macerie: furono distrutti molti templi e sebbene chi violasse le regole, secondo la legge, dovesse solo essere multato,
veniva picchiato malamente in mezzo alle strade, ucciso e lasciato inerme. È per questo motivo, poi, che molti studiosi, discepoli e viaggiatori non avrebbero più avuto aspirazione ad andare verso Alessandria. In particolare, la distruzione del Serapeum, tempio in onore di Serapide, Signore dell’Universo, dell’Oltretomba, della fecondità e del Sole, mi spezzò il cuore: mio padre era il rettore del tempio, che frequentavo assiduamente. Comunque, so che oggi, ad Alessandria d’Egitto, è possibile visitarlo, anche se non è mai stato ristrutturato in modo tale da sembrare quello di prima.
I: Ci piacerebbe sapere come mai, nonostante rischiassi la morte, non ti sei mai convertita al cristianesimo?
I: Se devo essere onesta, questa è una domanda difficile. La mia scelta, in realtà, non fu propriamente legata alla religione. Io credo in una vita senza compromessi, in cui non sono obbligata a piegarmi a dei dogmi: non volevo diventare una marionetta nelle mani dei potenti. Il mio fu un cammino fatto di indipendenza e di bellezza dove la ricerca della verità del mondo conduce alla verità su sé stessi. Il mio esempio è stato talmente luminoso da far sparire altre grandi donne dell’antichità, come Gorgo, regina di Sparta o la leggendaria Clelia romana: due donne considerate grandi perché esaltano la morale della società alla quale appartenevano, enormi esempi di virtù e conformismo.
Non mi sono mai pentita di non essermi convertita, nonostante mi sia costata la morte, non ho mai voluto che la mia fosse una vita insignificante e, grazie al mio sacrificio, non lo è stata.
I: Come ci si sente ad essere stata una delle donne più influenti della tua epoca?
I: Sono sempre stata appassionata di matematica, filosofia e astronomia. Sicuramente anche grazie agli insegnamenti di mio padre, ho capito che lo studio è fondamentale per poter fare parte attivamente della società. Purtroppo nella mia epoca era complicato per una donna riuscire a studiare e avere la possibilità di creare una propria identità. Mi ritengo fortunata ad aver avuto il sostegno di mio padre, che sin da piccola mi ha dato piena libertà nella scelta di cosa studiare. Ciò mi ha permesso di non sottostare alle rigide regole della mia società. Penso infatti che studiare sia un mezzo per fare delle scelte, come nel mio caso di non convertirmi al cristianesimo, e riuscire a motivare queste. Molte donne, nella mia epoca, non hanno avuto la possibilità di decidere la propria sorte, a differenza mia che, pur essendo stata uccisa per le mie scelte, ho vissuto lottando per ottenere ciò che volevo, senza sottostare a nessuno, e per questo mi sento molto fortunata. Ritengo che ogni donna debba avere la possibilità di scegliere cosa fare nella propria vita esattamente come un uomo. Mi auguro di poter essere da esempio per delle donne che hanno paura di emergere e che, pur di non ribellarsi, non vivono la loro vita da protagoniste.
I: Non hai mai pensato di essere nata nell’epoca sbagliata e cosa pensi delle persecuzioni in generale?
I: A dirla tutta, lo pensavo spesso. Immaginavo come sarebbe stato vivere in un’altra epoca senza essere perseguitati dai cristiani. Ero a conoscenza del fatto che c’erano state numerose persecuzioni contro di loro da parte di imperatori come Diocleziano e Decio, ma non ci ho mai dato molto peso e non ho mai pensato alla crudeltà con cui questi venivano torturati, finché non l’ho provato sulla mia stessa pelle. Se prima ero dell’idea che perseguitare i cristiani non era un male, dopo averlo provato io stessa in prima persona, ho cambiato radicalmente opinione, capendo che assalire degli individui solamente per il loro credo, non è mai un bene, in nessun caso. Avendo io rifiutato di convertirmi al cristianesimo, ne ho pagato le conseguenze e, ribadisco ancora una volta, che non è accettabile perseguitare qualcuno solamente per il suo credo e le sue convinzioni. Ho sofferto molto quando il mio amico Oreste fu ucciso dai seguaci di Cirillo e, grazie a questo evento, mi ritengo capace di capire come si sentono le persone che hanno perso dei loro cari per colpa di una credenza comune nel tempo in cui vivono. Quindi, alcune volte, penso ancora a come sarebbe stata la mia vita senza essere torturata e uccisa dai cristiani, ma poi capisco anche che, probabilmente, questi avvenimenti hanno rafforzato ancora di più il mio credo, le mie convinzioni, portandomi e a sostenere le mie conoscenze al punto di perdere addirittura la vita.
I: Grazie Ipazia, per oggi questo è tutto! Siamo onorati di aver parlato con una donna forte, libera e determinata come te.
I: Grazie a voi. A presto!
INTERVISTA A GALLA PLACIDIA
I: Quando nacque, l’Impero Romano era vastissimo; quando morì, Roma era già stata saccheggiata da Goti e Unni e l’Impero Romano era nel mezzo del suo lento declino. La sua vita fu drammatica, ma lei combatté sempre per il raggiungimento dei suoi obiettivi, grazie a lei si unirono due importanti dinastie imperiali romane ed ebbe molta influenza in campo politico, artistico e religioso. Si tratta proprio di lei: Galla Placidia.
Buonasera, volevamo subito iniziare chiedendoti alcune informazioni riguardo la tua ascesa al trono. Nel 424 dopo la morte di Onorio il trono passò nelle tue mani, come fu governare l'impero nei suoi ultimi decenni di vita?
G: Ovviamente fu molto complicato. Appena arrivata in Italia, con l'aiuto dell'esercito di Bisanzio dovetti scacciare l'usurpatore Giovanni. Una volta preso il potere mi ritrovai a governare un impero che cadeva a pezzi, i barbari razziavano in continuazione i territori occidentali, non avevo un esercito abbastanza forte e compatto per respingerli e, come se non bastasse, i miei generali non facevano altro che combattere fra di loro. Anche se dal punto di vista militare non potevo fare molto, cercai di mantenere saldo l'impero dal punto di vista religioso, difendendo l'ortodossia cattolica dal paganesimo e le eresie ariane e nestoriane.
I: Proprio in merito alla religione, la tua influenza nell’ambito artistico e religioso fu particolarmente rilevante. Come definisci il tuo rapporto con la religione e il tuo approccio ad esso?
G: Come quasi tutti i membri della mia famiglia mi ritengo una forte credente cristiana, infatti fui anche un’importante committente artistica, interessandomi soprattutto all'edificazione delle chiese. A Ravenna, nel 426, feci edificare la chiesa di San Giovanni Evangelista, affinché potessi sciogliere il voto che feci durante la traversata marittima nella tempesta che mi riportò in Occidente, durante la quale aveva rischiato la vita; infatti, prima che fosse demolita, nella chiesa erano presenti dei mosaici che raffiguravano due navi sul mare in tempesta, una delle quali trasportava San Giovanni evangelista che veniva in mio soccorso, mentre nell'abside la figura di Cristo era raffigurata su un'iscrizione che recitava «L'augusta Galla Placidia, con suo figlio l'Augusto Placido Valentiniano e sua figlia Giusta Grata Onoria, scioglie il voto per la sua salvezza dal mare». Oltre a questo significato molto importante per me, alle pareti della chiesa c’erano dei mosaici raffiguranti gli imperatori e i membri della mia famiglia, per esaltare la grandezza dei miei familiari. Sempre a Ravenna decisi di far erigere la chiesa di Santa Croce, con annesso il mio mausoleo, una chiesa del Santo Sepolcro e un ampio complesso monastico dedicato a San Zaccaria.
I: Parlando invece di parentele, sappiamo che nella tua vita sei risultata protagonista di diversi matrimoni; ci interessava particolarmente sapere come fosse stata la relazione con Ataulfo, durante la quale doveste sopportare anche la morte di un figlio.
G: Sì, ricordo molto bene il giorno in cui io ed Ataulfo scoprimmo della morte del povero Teodosio I, nostro figlio; provammo un immenso dolore che ci portò successivamente a chiudere la nostra relazione amorosa. Questa infatti fu forse una delle motivazioni più importanti per le quali io e Ataulfo ci lasciammo, poco prima della sua morte. In realtà, la nostra fu una storia particolarmente difficile sin dal principio: Ataulfo, infatti, il principe goto ammaliato dalla mia bellezza, aveva deciso di sposarmi, inviando una delegazione diplomatica
per dichiarare la proposta di nozze ad Onorio, che rifiutò sdegnatamente. Ataulfo era però un testardo, dunque non si arrese, ma, anzi, una volta valicate le Alpi chiese ufficialmente una terra nella quale stabilirsi all’imperatore ed egli concedette l’Aquitania. Fu così che si posero le basi per il lungo governo visigoto nella Francia Meridionale e qui riuscì a sposarmi.
I: Ricordi qualcosa di quel matrimonio in particolare?
G: Come poter dimenticare un giorno così importante per me. Sedevo su un trono indossando gli abiti da imperatrice Romana, Ataulfo era accanto a me, ma in posizione subordinata, riconoscendomi quindi un ruolo di maggior prestigio e importanza. Cinquanta giovani mi donarono due vasi a testa contenenti oro e pietre preziose, mentre Attalo, il greco che in passato era stato proposto da Alarico come imperatore, guidava i canti. Ricordo che quel giorno ci fu una festa immensa alla quale parteciparono tutti gli abitanti della città. Purtroppo, però, il ricordo del lutto del nostro povero Teodosio mi induce sempre a provare tanta malinconia e rimane una ferita ancora aperta che credo non riuscirò mai a medicare.
I: Oltre ad essere una nobile per matrimonio, sappiamo che la tua dinastia non è da meno, non è vero?
I: Si, infatti, grazie a me si unirono due dinastie imperiali romane, quella Valentiniana e quella Teodosiana. Mio nonno materno era l'imperatore Valentiniano I, i miei zii materni gli imperatori Graziano e Valentiniano II; entrambi i miei due fratellastri Arcadio e Onorio furono imperatori; i miei due mariti furono entrambi personaggi di rilievo: Ataulfo fu re dei Visigoti e Costanzo III fu imperatore romano d'Occidente assieme ad Onorio; furono pure imperatori mio figlio, Valentiniano III, e mio nipote Teodosio II, figlio di Arcadio. Oltre a questa mia regale stirpe, nel 390 ricevetti il titolo di ‘nobilissima’, che mi dava una dignità pari a quella dei miei fratelli e delle proprietà che mi resero finanziariamente indipendente, pur essendo una donna.
I: Infine ci chiedevamo se potessi soddisfare questa nostra curiosità: sappiamo che nel 408, mentre Roma era assediata dai Goti, permettesti al Senato di condannare a morte tua cugina Serena, perchè non ti sei opposta?
Nonostante io sia in parte grata a lei e Stilicone di avermi accolta in casa loro, dopo che persi i genitori, non potevo di certo perdonarle di avermi usata come pedina per arrivare al trono imperiale. Durante l'assedio di Alarico a Roma, si presentò la mia occasione di vendetta; il senato aveva accusato Serena di tradimento, ma, siccome era imparentata con l'imperatore, non si sarebbe potuto eseguire la sentenza senza il consenso di un membro della famiglia imperiale. Onorio era a Ravenna, quindi il Senato si rivolse a me che detenevo il rango più elevato in città e io diedi il mio assenso.
I: Ti ringraziamo molto per aver accettato il nostro invito e per aver dato una risposta alle nostre curiosità.
I: Di nulla, è stato un piacere, grazie a voi per avermi invitato.
I: Quando nacque, l’Impero Romano era vastissimo; quando morì, Roma era già stata saccheggiata da Goti e Unni e l’Impero Romano era nel mezzo del suo lento declino. La sua vita fu drammatica, ma lei combatté sempre per il raggiungimento dei suoi obiettivi, grazie a lei si unirono due importanti dinastie imperiali romane ed ebbe molta influenza in campo politico, artistico e religioso. Si tratta proprio di lei: Galla Placidia.
Buonasera, volevamo subito iniziare chiedendoti alcune informazioni riguardo la tua ascesa al trono. Nel 424 dopo la morte di Onorio il trono passò nelle tue mani, come fu governare l'impero nei suoi ultimi decenni di vita?
G: Ovviamente fu molto complicato. Appena arrivata in Italia, con l'aiuto dell'esercito di Bisanzio dovetti scacciare l'usurpatore Giovanni. Una volta preso il potere mi ritrovai a governare un impero che cadeva a pezzi, i barbari razziavano in continuazione i territori occidentali, non avevo un esercito abbastanza forte e compatto per respingerli e, come se non bastasse, i miei generali non facevano altro che combattere fra di loro. Anche se dal punto di vista militare non potevo fare molto, cercai di mantenere saldo l'impero dal punto di vista religioso, difendendo l'ortodossia cattolica dal paganesimo e le eresie ariane e nestoriane.
I: Proprio in merito alla religione, la tua influenza nell’ambito artistico e religioso fu particolarmente rilevante. Come definisci il tuo rapporto con la religione e il tuo approccio ad esso?
G: Come quasi tutti i membri della mia famiglia mi ritengo una forte credente cristiana, infatti fui anche un’importante committente artistica, interessandomi soprattutto all'edificazione delle chiese. A Ravenna, nel 426, feci edificare la chiesa di San Giovanni Evangelista, affinché potessi sciogliere il voto che feci durante la traversata marittima nella tempesta che mi riportò in Occidente, durante la quale aveva rischiato la vita; infatti, prima che fosse demolita, nella chiesa erano presenti dei mosaici che raffiguravano due navi sul mare in tempesta, una delle quali trasportava San Giovanni evangelista che veniva in mio soccorso, mentre nell'abside la figura di Cristo era raffigurata su un'iscrizione che recitava «L'augusta Galla Placidia, con suo figlio l'Augusto Placido Valentiniano e sua figlia Giusta Grata Onoria, scioglie il voto per la sua salvezza dal mare». Oltre a questo significato molto importante per me, alle pareti della chiesa c’erano dei mosaici raffiguranti gli imperatori e i membri della mia famiglia, per esaltare la grandezza dei miei familiari. Sempre a Ravenna decisi di far erigere la chiesa di Santa Croce, con annesso il mio mausoleo, una chiesa del Santo Sepolcro e un ampio complesso monastico dedicato a San Zaccaria.
I: Parlando invece di parentele, sappiamo che nella tua vita sei risultata protagonista di diversi matrimoni; ci interessava particolarmente sapere come fosse stata la relazione con Ataulfo, durante la quale doveste sopportare anche la morte di un figlio.
G: Sì, ricordo molto bene il giorno in cui io ed Ataulfo scoprimmo della morte del povero Teodosio I, nostro figlio; provammo un immenso dolore che ci portò successivamente a chiudere la nostra relazione amorosa. Questa infatti fu forse una delle motivazioni più importanti per le quali io e Ataulfo ci lasciammo, poco prima della sua morte. In realtà, la nostra fu una storia particolarmente difficile sin dal principio: Ataulfo, infatti, il principe goto ammaliato dalla mia bellezza, aveva deciso di sposarmi, inviando una delegazione diplomatica
per dichiarare la proposta di nozze ad Onorio, che rifiutò sdegnatamente. Ataulfo era però un testardo, dunque non si arrese, ma, anzi, una volta valicate le Alpi chiese ufficialmente una terra nella quale stabilirsi all’imperatore ed egli concedette l’Aquitania. Fu così che si posero le basi per il lungo governo visigoto nella Francia Meridionale e qui riuscì a sposarmi.
I: Ricordi qualcosa di quel matrimonio in particolare?
G: Come poter dimenticare un giorno così importante per me. Sedevo su un trono indossando gli abiti da imperatrice Romana, Ataulfo era accanto a me, ma in posizione subordinata, riconoscendomi quindi un ruolo di maggior prestigio e importanza. Cinquanta giovani mi donarono due vasi a testa contenenti oro e pietre preziose, mentre Attalo, il greco che in passato era stato proposto da Alarico come imperatore, guidava i canti. Ricordo che quel giorno ci fu una festa immensa alla quale parteciparono tutti gli abitanti della città. Purtroppo, però, il ricordo del lutto del nostro povero Teodosio mi induce sempre a provare tanta malinconia e rimane una ferita ancora aperta che credo non riuscirò mai a medicare.
I: Oltre ad essere una nobile per matrimonio, sappiamo che la tua dinastia non è da meno, non è vero?
I: Si, infatti, grazie a me si unirono due dinastie imperiali romane, quella Valentiniana e quella Teodosiana. Mio nonno materno era l'imperatore Valentiniano I, i miei zii materni gli imperatori Graziano e Valentiniano II; entrambi i miei due fratellastri Arcadio e Onorio furono imperatori; i miei due mariti furono entrambi personaggi di rilievo: Ataulfo fu re dei Visigoti e Costanzo III fu imperatore romano d'Occidente assieme ad Onorio; furono pure imperatori mio figlio, Valentiniano III, e mio nipote Teodosio II, figlio di Arcadio. Oltre a questa mia regale stirpe, nel 390 ricevetti il titolo di ‘nobilissima’, che mi dava una dignità pari a quella dei miei fratelli e delle proprietà che mi resero finanziariamente indipendente, pur essendo una donna.
I: Infine ci chiedevamo se potessi soddisfare questa nostra curiosità: sappiamo che nel 408, mentre Roma era assediata dai Goti, permettesti al Senato di condannare a morte tua cugina Serena, perchè non ti sei opposta?
Nonostante io sia in parte grata a lei e Stilicone di avermi accolta in casa loro, dopo che persi i genitori, non potevo di certo perdonarle di avermi usata come pedina per arrivare al trono imperiale. Durante l'assedio di Alarico a Roma, si presentò la mia occasione di vendetta; il senato aveva accusato Serena di tradimento, ma, siccome era imparentata con l'imperatore, non si sarebbe potuto eseguire la sentenza senza il consenso di un membro della famiglia imperiale. Onorio era a Ravenna, quindi il Senato si rivolse a me che detenevo il rango più elevato in città e io diedi il mio assenso.
I: Ti ringraziamo molto per aver accettato il nostro invito e per aver dato una risposta alle nostre curiosità.
I: Di nulla, è stato un piacere, grazie a voi per avermi invitato.
INTERVISTA A PIRRO
I: Pirro, siamo molto lieti di averti qua con noi per intervistarti, ma partiamo subito dalle presentazioni. Tutti ti stimano come un re temuto e un grande condottiero, ma in pochi conoscono la tua storia. Vuoi farci l’onore di raccontarcela?
P: È un grande onore per me essere qua, mi presento: sono Pirro, re dell’Epiro, territorio che, da quel che so, ora è una regione compresa tra l’Albania e la Grecia. Non tutti sanno che ho avuto un’infanzia non poco complicata: nacqui nel lontano 318 a.C., dalla regina Ftia e dal re Eacide. Quando avevo solo due anni, vidi mio padre morire in una rivolta in modo cruento e, successivamente, fui mandato, insieme a mia madre e alle mie sorelle, in una tribù dell’Illiria per essere educato. All’età di tredici anni, mi fu affidato il posto di comando che mi spettava, ma quattro anni dopo, per contrasti interni, persi l’incarico. Per mia sfortuna, nel 299 a.C., fui catturato come ostaggio ad Alessandria d’Egitto, ma, un anno dopo, mi toccò una sorte ancora peggiore: sposai Antigone, una donna molto petulante, che mi provocò non poche crisi di nervi. In seguito, però, mi preoccupai solo di svolgere il mio compito di capo.
I: La ragione per cui sei noto a tutti è il tuo odio verso i Romani, ma non si sa da dove sia scaturito, puoi spiegarcelo?
P: Come ho già spiegato, mio padre fu ucciso durante una rivolta da parte di alcuni sudditi e, tra i più facinorosi, si riconobbe un uomo di stirpe romana. Non perdonai mai questo oltraggio ai romani e, a causa di questo, nacque il mio odio verso quel popolo di sciagurati.”
I: Facendo il tuo ingresso ad Eraclea, hai sbalordito quelli che tu chiami “sciagurati” con un’arma mai vista prima e che si è rivelata vincente: gli elefanti. Come mai hai scelto di attaccare i Romani con questi possenti animali?
P: Ero più che certo che le mie magnifiche “macchine da guerra” avrebbero avuto la meglio, essendo gli elefanti tra i più forti e sconosciuti animali. Si può dire, in realtà, che io abbia voluto giocare con l’effetto sorpresa. Oltre ai motivi prettamente militari, dietro a questa scelta si cela un aspetto più personale: fin da piccolo ho sempre amato questi vigorosi animali. Il mio amore verso di loro scaturì quando mia madre mi regalò, ancora in fasce, un piccolo giocattolo in legno a forma di elefante, a cui rimasi molto legato anche nell’età adulta.”
I: Parlando di vittorie, Pirro, qual è stata quella più ardua da portare a casa?
P: Indubbiamente quella di Eraclea, che impiegò la forza di tutte le mie truppe scelte di Epiroti e, purtroppo, comportò la morte di 4000 dei miei. Solo 2000 in più furono i soldati romani periti, la differenza fu irrisoria. Fu una battaglia cruenta che causò molte vittime in entrambi i fronti. Tra i miei amici più giovani di me, sentii usare l’espressione “ vittoria di Pirro”. Mi spiegarono poi che con quest’espressione ci si riferisce a una vittoria effettiva, che, tuttavia, implica molte perdite. Mi ricordo anche di aver proferito, in seguito a quella battaglia, testuali parole: “Un’altra vittoria così e siamo perduti”. Quella battaglia rimarrà impressa nel mio cuore per l’ardore e l’amore impiegato da me e, in modo particolare, dalle mie truppe.
I: Sempre riguardo alle tue grandi imprese, cos’è andato storto a Malevento? Avevate trovato un così buon elemento di sorpresa contro i Romani. Come te lo spieghi?
P: Oh, quella battaglia, una delle più memorabili! Eravamo partiti così bene con la vittoria di Eraclea, poi quei maledetti Romani scoprirono il punto debole delle nostre “macchine da guerra”, dei nostri elefanti: il fuoco. Inoltre, già molti uomini, quasi la metà del mio esercito, erano caduti. Sicuramente inviarono delle spie nel nostro accampamento, i quali si accorsero che, grazie al fuoco,
riuscivamo a domare gli elefanti, sottoponendoli a determinati comandi. Capirono così che le fiamme avrebbero potuto costituire un elemento di pericolo per gli elefanti e, dunque, attuarono questa tecnica contro di noi.”
I: Pirro, siamo curiosi… conoscevi la donna argiva che ti scagliò la tegola letale?
P: In realtà, sì. Sto per rivelare una verità che nessun libro di storia ha mai riportato: quella donna, pur essendo avanti negli anni, era la mia amante. Senza dubbio si era stancata delle mie promesse. Da anni progettavamo un futuro insieme, desiderio che mai si realizzò. Un giorno, dunque, decise di colpirmi alla sprovvista con una tegola durante una battaglia ad Argo, agevolando l’attacco del soldato nemico che mi inflisse il colpo letale.
Io l’amavo moltissimo, non avrei mai voluto causarle un così grande dolore, ma il servizio militare, le valorose imprese, i progetti di nuove conquiste, mi impedirono di essere fedele alle mie promesse. Se solo potesse sentirmi! Avrei dovuto trovare il tempo e la determinazione per costruire una vita insieme a lei, ma, purtroppo, ho sprecato la mia occasione.”
I: Grazie, Pirro. Tra queste parole cariche di rimpianti e sospiri, ti salutiamo, ringraziandoti per la tua disponibilità e per le informazioni preziose che hai comunicato a noi e, di conseguenza, ai nostri lettori.
I: Pirro, siamo molto lieti di averti qua con noi per intervistarti, ma partiamo subito dalle presentazioni. Tutti ti stimano come un re temuto e un grande condottiero, ma in pochi conoscono la tua storia. Vuoi farci l’onore di raccontarcela?
P: È un grande onore per me essere qua, mi presento: sono Pirro, re dell’Epiro, territorio che, da quel che so, ora è una regione compresa tra l’Albania e la Grecia. Non tutti sanno che ho avuto un’infanzia non poco complicata: nacqui nel lontano 318 a.C., dalla regina Ftia e dal re Eacide. Quando avevo solo due anni, vidi mio padre morire in una rivolta in modo cruento e, successivamente, fui mandato, insieme a mia madre e alle mie sorelle, in una tribù dell’Illiria per essere educato. All’età di tredici anni, mi fu affidato il posto di comando che mi spettava, ma quattro anni dopo, per contrasti interni, persi l’incarico. Per mia sfortuna, nel 299 a.C., fui catturato come ostaggio ad Alessandria d’Egitto, ma, un anno dopo, mi toccò una sorte ancora peggiore: sposai Antigone, una donna molto petulante, che mi provocò non poche crisi di nervi. In seguito, però, mi preoccupai solo di svolgere il mio compito di capo.
I: La ragione per cui sei noto a tutti è il tuo odio verso i Romani, ma non si sa da dove sia scaturito, puoi spiegarcelo?
P: Come ho già spiegato, mio padre fu ucciso durante una rivolta da parte di alcuni sudditi e, tra i più facinorosi, si riconobbe un uomo di stirpe romana. Non perdonai mai questo oltraggio ai romani e, a causa di questo, nacque il mio odio verso quel popolo di sciagurati.”
I: Facendo il tuo ingresso ad Eraclea, hai sbalordito quelli che tu chiami “sciagurati” con un’arma mai vista prima e che si è rivelata vincente: gli elefanti. Come mai hai scelto di attaccare i Romani con questi possenti animali?
P: Ero più che certo che le mie magnifiche “macchine da guerra” avrebbero avuto la meglio, essendo gli elefanti tra i più forti e sconosciuti animali. Si può dire, in realtà, che io abbia voluto giocare con l’effetto sorpresa. Oltre ai motivi prettamente militari, dietro a questa scelta si cela un aspetto più personale: fin da piccolo ho sempre amato questi vigorosi animali. Il mio amore verso di loro scaturì quando mia madre mi regalò, ancora in fasce, un piccolo giocattolo in legno a forma di elefante, a cui rimasi molto legato anche nell’età adulta.”
I: Parlando di vittorie, Pirro, qual è stata quella più ardua da portare a casa?
P: Indubbiamente quella di Eraclea, che impiegò la forza di tutte le mie truppe scelte di Epiroti e, purtroppo, comportò la morte di 4000 dei miei. Solo 2000 in più furono i soldati romani periti, la differenza fu irrisoria. Fu una battaglia cruenta che causò molte vittime in entrambi i fronti. Tra i miei amici più giovani di me, sentii usare l’espressione “ vittoria di Pirro”. Mi spiegarono poi che con quest’espressione ci si riferisce a una vittoria effettiva, che, tuttavia, implica molte perdite. Mi ricordo anche di aver proferito, in seguito a quella battaglia, testuali parole: “Un’altra vittoria così e siamo perduti”. Quella battaglia rimarrà impressa nel mio cuore per l’ardore e l’amore impiegato da me e, in modo particolare, dalle mie truppe.
I: Sempre riguardo alle tue grandi imprese, cos’è andato storto a Malevento? Avevate trovato un così buon elemento di sorpresa contro i Romani. Come te lo spieghi?
P: Oh, quella battaglia, una delle più memorabili! Eravamo partiti così bene con la vittoria di Eraclea, poi quei maledetti Romani scoprirono il punto debole delle nostre “macchine da guerra”, dei nostri elefanti: il fuoco. Inoltre, già molti uomini, quasi la metà del mio esercito, erano caduti. Sicuramente inviarono delle spie nel nostro accampamento, i quali si accorsero che, grazie al fuoco,
riuscivamo a domare gli elefanti, sottoponendoli a determinati comandi. Capirono così che le fiamme avrebbero potuto costituire un elemento di pericolo per gli elefanti e, dunque, attuarono questa tecnica contro di noi.”
I: Pirro, siamo curiosi… conoscevi la donna argiva che ti scagliò la tegola letale?
P: In realtà, sì. Sto per rivelare una verità che nessun libro di storia ha mai riportato: quella donna, pur essendo avanti negli anni, era la mia amante. Senza dubbio si era stancata delle mie promesse. Da anni progettavamo un futuro insieme, desiderio che mai si realizzò. Un giorno, dunque, decise di colpirmi alla sprovvista con una tegola durante una battaglia ad Argo, agevolando l’attacco del soldato nemico che mi inflisse il colpo letale.
Io l’amavo moltissimo, non avrei mai voluto causarle un così grande dolore, ma il servizio militare, le valorose imprese, i progetti di nuove conquiste, mi impedirono di essere fedele alle mie promesse. Se solo potesse sentirmi! Avrei dovuto trovare il tempo e la determinazione per costruire una vita insieme a lei, ma, purtroppo, ho sprecato la mia occasione.”
I: Grazie, Pirro. Tra queste parole cariche di rimpianti e sospiri, ti salutiamo, ringraziandoti per la tua disponibilità e per le informazioni preziose che hai comunicato a noi e, di conseguenza, ai nostri lettori.
INTERVISTA A NERONE
I: Benvenuto, Nerone. Siamo curiosi di conoscere la tua storia, perciò, iniziamo subito con le domande.
Spesso la tua immagine è facilmente associata all’incendio di Roma e sicuramente questa azione è quella tra le più ricordate compiute da te. Come è andata la vicenda vista dall'interno, in prima persona?
N: Beh, sì, l’incendio di Roma spesso è ricordato come la mia unica azione durante il periodo di potere, ma non è stato assolutamente così. Avvenne nella notte tra il 18 e il 19 luglio dell’anno 64, nella zona del Circo Massimo. Subito gli autori vollero ingigantire il fatto, alcuni sostennero che smise di infuriare il 27 luglio, ma, in realtà, durò sei giorni. Non nego che fu un’azione importante, tre dei quattordici quartieri di Roma andarono completamente distrutti e altri sette furono rovinati in forma molto grave dal fuoco. Mi dipinsero tutti come un mostro; Tacito, anni dopo, dichiarò perfino che io fossi salito su un palco e, guardando la città in rovina, avessi cantato la caduta di Troia. Ammetto che non sarebbe stata male come scena, ma non andò realmente così, non mi era venuta in mente una tale esibizione. Peggio, però, fu quando la gente iniziò a comprendere che quell’incendio l’avevo fatto scaturire io, in modo da poter costruire una nuova città e, preso dalla gloria del momento, ero addirittura intenzionato a chiamarla con il mio nome. Avevo infatti accusato i cristiani per l’atto compiuto, una scusa plausibile, essendo essi ‘una setta invisa a tutti per le loro nefandezze’. Erano insomma un gruppo particolare, visto male dal governo ed era la copertura perfetta, dichiarando persino come movente il loro odio del genere umano. Nonostante tutto ciò, la gente nutriva dei dubbi nei miei confronti, ma non sprecai mai eccessive energie per dissuaderli, quelle le riservai per la costruzione di un edificio degno di ospitare un imperatore, la Domus Aurea, e per ricostruire la città, raccomandandomi di usare materiali edilizi ignifughi, per evitare ulteriori incidenti. Tutto ciò lo feci a mie spese e, ancora oggi, sono fiero di quel che ho creato.”
I: Come tutti sappiamo l’incendio, di cui ti è attribuita la colpa, aveva come fine la costruzione, sulle macerie, di una enorme villa. Potresti dirci di più riguardo a questo progetto?
N: Dunque dopo l’incendio, parte della Domus Transitoria, una grande villa che giaceva sul Palatino, fu distrutta, così pensai di sostituirla con una villa ancora più grande che fosse degna della mia grandezza. Il progetto comprendeva parte del Palatino fino alle pendici dell’Esquilino: un’estensione di circa 219 ettari, un progetto grandioso! Buona parte della superficie che andava ad occupare era dedicata dai giardini dove avevo voluto porre padiglioni per le feste. Al centro dei giardini, formati per gran parte da vigne e boschi, in una piccola valle tra i tre colli c’era un adorabile laghetto. Io in persona mi interessai ad ogni dettaglio che riguardasse la costruzione di questo meraviglioso edificio, ero io che decidevo tutto ciò che bisognasse fare e, ovviamente sorvegliavo gli architetti che lavoravano sul posto per assicurami che tutto fosse fatto a regola d’arte. Mi è arrivata voce che Tacito definì la mia villa un ‘palazzo odiato costruito con i frutti delle spoliazioni dei cittadini’, certamente quest’uomo deve aver decretato tutto ciò dopo la mia morte, perché vi assicuro che, con me in vita, se avesse osato
parlare così della mia dimora, non sarebbe rimasta vivo a lungo. In quella dimora davo spettacoli e feste per il mio popolo, che ovviamente mi adorava, in quel palazzo è stato persino accolto il re armeno. Io mi recavo lì ogni volta che prediligevo avere un po’ di pace, una carica come la mia comportava molta stanchezza fisica e mentale.
I: Abbiamo citato in precedenza fatti noti e pubblici, vorremmo adesso, invece, chiederti qualcosa di più personale. Un pensiero, un tuo ideale di cui la gente non è a conoscenza.
N: Ebbene sì, c’è un pensiero, direi quasi un’ossessione, perché questo era diventata, che non sbandierai al popolo allora: il desiderio di rimanere incinto. Sì, non è una presa in giro. Il mio desiderio più grande era quello di poter generare un figlio dal mio stesso grembo. Volevo assomigliasse in tutto e per tutto a me, ma, soprattutto, non volevo che l’esistenza di mio figlio dipendesse da una donna. Mi rivolsi più e più volte a tutti i medici di corte, minacciando addirittura di morte, ma anche a tutti quelli dell’impero. Un giorno, più spaventati dalla mia ossessione, che volenterosi realmente di esaudirla, mi portarono una pozione speciale, al cui interno, scoprii successivamente, c’era un girino, il quale mi crebbe nella pancia e dopo qualche tempo lo ‘partorii’. Ero così felice di quella creatura nata direttamente dal mio corpo che feci sfilare la ranocchia su una delle mie carrozze regali, scortata da 15 aristocratici. La piccola imperatrice, però, arrivati nei pressi del Tevere, scappò via, nel luogo al quale dedicai il suo nome: Laterano, dal latino latitans rana, cioè ‘rana che scappa’.
I: Ora Nerone vorremmo chiederti: perché hai deciso di uccidere tua madre Agrippina nonostante abbia fatto moltissimo per te?
N: In un certo senso è giusto che ci si ponga questa domanda, alla fine è stato solo grazie a lei che sono riuscito a diventare imperatore, infatti fu proprio mia madre a convincere Claudio a designarmi come successore al potere al posto di Britannico. È anche vero però che durante il corso della mia gloriosa vita mi ha condizionato in moltissime mie decisioni: non fu mia per esempio la decisione di sposare Ottavia. La pressione che mia madre esercitava su di me era incessante e decisi quindi di allontanarla: in un primo momento infatti iniziai a preferirle come consiglieri Afranio Burro e Seneca. Il fatto che sancì la definitiva rottura tra me e mia madre fu quando lei mi accusò di aver avvelenato Britannico, figlio legittimo di Claudio che avrebbe dovuto prendere il controllo quando il padre sarebbe morto.
A quel punto non ci vidi più. Tolsi a mia madre tutte le protezioni e la feci cacciare dalla corte e, temendo una congiura da parte sua e altre persone, decisi di ingaggiare dei sicari per farla uccidere. Provai a farla fuori facendo affondare la nave con cui stava ritornando da una festa che si era tenuta a Baia, in Campania, ma fu salvata da dei pescatori, che la condussero in una villa nei pressi del lago di Lucrino.
Mandai quindi alla villa in cui era stata portata i sicari che avevo ingaggiato che la uccisero a colpi di mazza. Forse a dire il vero un po’ mi pento di ciò che ho fatto, perché avrei potuto regnare più responsabilmente con il suo aiuto e quindi rendere la mia fine più gloriosa, piuttosto che morire da nemico del popolo romano.
I: Nerone, ora vorremmo chiederti: hai mai partecipato ad un’edizione dei giochi olimpici?
N: Sì, in realtà partecipai ad una edizione delle olimpiadi nel 67 d. C. e riuscii a vincere anche diverse gare: la gara delle quadrighe, la gara delle quadrighe con i puledri, il concorso degli araldi, il tiro a 10 puledri, le prove per i citaredi e per i tragedi. Le olimpiadi greche mi piacquero così tanto che istituii le Neroniadi. Questi giochi si tenevano ogni 5 anni ed avevano lo scopo di celebrare l’anniversario del regno degli imperatori. Feci suddividere l’evento in tre parti: la prima parte era dedicata all’arte oratoria, alla musica e alla poesia, la seconda era dedicata alla ginnastica e la terza invece all’equitazione. Creai delle sfide fatte in modo che io potessi vincere agevolmente e molto spesso i miei avversari, temendo delle conseguenze, mi lasciavano vincere, e, a dire il vero, anche vincere in questo modo non mi dispiaceva troppo.
I: Ma invece raccontaci della tua dinastia, la dinastia giulio-claudia di cui fai parte e che si conclude proprio con te. Come mai non hai avuto discendenti?
Dovete sapere che mi sposai due volte: il primo matrimonio destò un notevole scalpore, qualcuno dirà che fu uno scandalo e, in effetti, non posso dire che fosse stato apprezzato dalla società. Fu con Claudia Ottavia, figlia del mio prozio Claudio. La nostra relazione fece così tanto rumore proprio, perché lei era mia cugina di secondo grado, e perciò la nostra unione fu considerata incestuosa. Con lei non ebbi figli e più tardi divorziai da lei quando trovai l’amore della mia vita.
Una donna di notevole bellezza, Poppea Sabina, ebbe una storia d’amore con un mio amico Otone, mio fedele compagno di feste e banchetti, ho saputo che più tardi regnò anche lui, ovviamente non quanto me. Comunque, Otone e Poppea si sposarono per mio ordine, ma poi li feci divorziare e io sposai Poppea. Ci amammo per tutta la vita, ma, nonostante i tentativi, lei non rimase mai incinta, e forse fu meglio così: in questo modo il popolo romano poté conoscere tutta la grandezza della mia fama solo grazie me e senza la mediazione di altri discendenti.
I: Che uomo caparbio e determinato! Ti ringraziamo vivamente per aver risposto alle nostre domande.
I: Benvenuto, Nerone. Siamo curiosi di conoscere la tua storia, perciò, iniziamo subito con le domande.
Spesso la tua immagine è facilmente associata all’incendio di Roma e sicuramente questa azione è quella tra le più ricordate compiute da te. Come è andata la vicenda vista dall'interno, in prima persona?
N: Beh, sì, l’incendio di Roma spesso è ricordato come la mia unica azione durante il periodo di potere, ma non è stato assolutamente così. Avvenne nella notte tra il 18 e il 19 luglio dell’anno 64, nella zona del Circo Massimo. Subito gli autori vollero ingigantire il fatto, alcuni sostennero che smise di infuriare il 27 luglio, ma, in realtà, durò sei giorni. Non nego che fu un’azione importante, tre dei quattordici quartieri di Roma andarono completamente distrutti e altri sette furono rovinati in forma molto grave dal fuoco. Mi dipinsero tutti come un mostro; Tacito, anni dopo, dichiarò perfino che io fossi salito su un palco e, guardando la città in rovina, avessi cantato la caduta di Troia. Ammetto che non sarebbe stata male come scena, ma non andò realmente così, non mi era venuta in mente una tale esibizione. Peggio, però, fu quando la gente iniziò a comprendere che quell’incendio l’avevo fatto scaturire io, in modo da poter costruire una nuova città e, preso dalla gloria del momento, ero addirittura intenzionato a chiamarla con il mio nome. Avevo infatti accusato i cristiani per l’atto compiuto, una scusa plausibile, essendo essi ‘una setta invisa a tutti per le loro nefandezze’. Erano insomma un gruppo particolare, visto male dal governo ed era la copertura perfetta, dichiarando persino come movente il loro odio del genere umano. Nonostante tutto ciò, la gente nutriva dei dubbi nei miei confronti, ma non sprecai mai eccessive energie per dissuaderli, quelle le riservai per la costruzione di un edificio degno di ospitare un imperatore, la Domus Aurea, e per ricostruire la città, raccomandandomi di usare materiali edilizi ignifughi, per evitare ulteriori incidenti. Tutto ciò lo feci a mie spese e, ancora oggi, sono fiero di quel che ho creato.”
I: Come tutti sappiamo l’incendio, di cui ti è attribuita la colpa, aveva come fine la costruzione, sulle macerie, di una enorme villa. Potresti dirci di più riguardo a questo progetto?
N: Dunque dopo l’incendio, parte della Domus Transitoria, una grande villa che giaceva sul Palatino, fu distrutta, così pensai di sostituirla con una villa ancora più grande che fosse degna della mia grandezza. Il progetto comprendeva parte del Palatino fino alle pendici dell’Esquilino: un’estensione di circa 219 ettari, un progetto grandioso! Buona parte della superficie che andava ad occupare era dedicata dai giardini dove avevo voluto porre padiglioni per le feste. Al centro dei giardini, formati per gran parte da vigne e boschi, in una piccola valle tra i tre colli c’era un adorabile laghetto. Io in persona mi interessai ad ogni dettaglio che riguardasse la costruzione di questo meraviglioso edificio, ero io che decidevo tutto ciò che bisognasse fare e, ovviamente sorvegliavo gli architetti che lavoravano sul posto per assicurami che tutto fosse fatto a regola d’arte. Mi è arrivata voce che Tacito definì la mia villa un ‘palazzo odiato costruito con i frutti delle spoliazioni dei cittadini’, certamente quest’uomo deve aver decretato tutto ciò dopo la mia morte, perché vi assicuro che, con me in vita, se avesse osato
parlare così della mia dimora, non sarebbe rimasta vivo a lungo. In quella dimora davo spettacoli e feste per il mio popolo, che ovviamente mi adorava, in quel palazzo è stato persino accolto il re armeno. Io mi recavo lì ogni volta che prediligevo avere un po’ di pace, una carica come la mia comportava molta stanchezza fisica e mentale.
I: Abbiamo citato in precedenza fatti noti e pubblici, vorremmo adesso, invece, chiederti qualcosa di più personale. Un pensiero, un tuo ideale di cui la gente non è a conoscenza.
N: Ebbene sì, c’è un pensiero, direi quasi un’ossessione, perché questo era diventata, che non sbandierai al popolo allora: il desiderio di rimanere incinto. Sì, non è una presa in giro. Il mio desiderio più grande era quello di poter generare un figlio dal mio stesso grembo. Volevo assomigliasse in tutto e per tutto a me, ma, soprattutto, non volevo che l’esistenza di mio figlio dipendesse da una donna. Mi rivolsi più e più volte a tutti i medici di corte, minacciando addirittura di morte, ma anche a tutti quelli dell’impero. Un giorno, più spaventati dalla mia ossessione, che volenterosi realmente di esaudirla, mi portarono una pozione speciale, al cui interno, scoprii successivamente, c’era un girino, il quale mi crebbe nella pancia e dopo qualche tempo lo ‘partorii’. Ero così felice di quella creatura nata direttamente dal mio corpo che feci sfilare la ranocchia su una delle mie carrozze regali, scortata da 15 aristocratici. La piccola imperatrice, però, arrivati nei pressi del Tevere, scappò via, nel luogo al quale dedicai il suo nome: Laterano, dal latino latitans rana, cioè ‘rana che scappa’.
I: Ora Nerone vorremmo chiederti: perché hai deciso di uccidere tua madre Agrippina nonostante abbia fatto moltissimo per te?
N: In un certo senso è giusto che ci si ponga questa domanda, alla fine è stato solo grazie a lei che sono riuscito a diventare imperatore, infatti fu proprio mia madre a convincere Claudio a designarmi come successore al potere al posto di Britannico. È anche vero però che durante il corso della mia gloriosa vita mi ha condizionato in moltissime mie decisioni: non fu mia per esempio la decisione di sposare Ottavia. La pressione che mia madre esercitava su di me era incessante e decisi quindi di allontanarla: in un primo momento infatti iniziai a preferirle come consiglieri Afranio Burro e Seneca. Il fatto che sancì la definitiva rottura tra me e mia madre fu quando lei mi accusò di aver avvelenato Britannico, figlio legittimo di Claudio che avrebbe dovuto prendere il controllo quando il padre sarebbe morto.
A quel punto non ci vidi più. Tolsi a mia madre tutte le protezioni e la feci cacciare dalla corte e, temendo una congiura da parte sua e altre persone, decisi di ingaggiare dei sicari per farla uccidere. Provai a farla fuori facendo affondare la nave con cui stava ritornando da una festa che si era tenuta a Baia, in Campania, ma fu salvata da dei pescatori, che la condussero in una villa nei pressi del lago di Lucrino.
Mandai quindi alla villa in cui era stata portata i sicari che avevo ingaggiato che la uccisero a colpi di mazza. Forse a dire il vero un po’ mi pento di ciò che ho fatto, perché avrei potuto regnare più responsabilmente con il suo aiuto e quindi rendere la mia fine più gloriosa, piuttosto che morire da nemico del popolo romano.
I: Nerone, ora vorremmo chiederti: hai mai partecipato ad un’edizione dei giochi olimpici?
N: Sì, in realtà partecipai ad una edizione delle olimpiadi nel 67 d. C. e riuscii a vincere anche diverse gare: la gara delle quadrighe, la gara delle quadrighe con i puledri, il concorso degli araldi, il tiro a 10 puledri, le prove per i citaredi e per i tragedi. Le olimpiadi greche mi piacquero così tanto che istituii le Neroniadi. Questi giochi si tenevano ogni 5 anni ed avevano lo scopo di celebrare l’anniversario del regno degli imperatori. Feci suddividere l’evento in tre parti: la prima parte era dedicata all’arte oratoria, alla musica e alla poesia, la seconda era dedicata alla ginnastica e la terza invece all’equitazione. Creai delle sfide fatte in modo che io potessi vincere agevolmente e molto spesso i miei avversari, temendo delle conseguenze, mi lasciavano vincere, e, a dire il vero, anche vincere in questo modo non mi dispiaceva troppo.
I: Ma invece raccontaci della tua dinastia, la dinastia giulio-claudia di cui fai parte e che si conclude proprio con te. Come mai non hai avuto discendenti?
Dovete sapere che mi sposai due volte: il primo matrimonio destò un notevole scalpore, qualcuno dirà che fu uno scandalo e, in effetti, non posso dire che fosse stato apprezzato dalla società. Fu con Claudia Ottavia, figlia del mio prozio Claudio. La nostra relazione fece così tanto rumore proprio, perché lei era mia cugina di secondo grado, e perciò la nostra unione fu considerata incestuosa. Con lei non ebbi figli e più tardi divorziai da lei quando trovai l’amore della mia vita.
Una donna di notevole bellezza, Poppea Sabina, ebbe una storia d’amore con un mio amico Otone, mio fedele compagno di feste e banchetti, ho saputo che più tardi regnò anche lui, ovviamente non quanto me. Comunque, Otone e Poppea si sposarono per mio ordine, ma poi li feci divorziare e io sposai Poppea. Ci amammo per tutta la vita, ma, nonostante i tentativi, lei non rimase mai incinta, e forse fu meglio così: in questo modo il popolo romano poté conoscere tutta la grandezza della mia fama solo grazie me e senza la mediazione di altri discendenti.
I: Che uomo caparbio e determinato! Ti ringraziamo vivamente per aver risposto alle nostre domande.
INTERVISTA A CESARE
I: Buongiorno, Cesare. Grazie per esserti prestato a quest’intervista. Noi tutti ti ammiriamo molto e stimiamo la tua mirabile strategia militare; dunque, per questo, la prima domanda che ti rivolgiamo è la seguente: qual è la battaglia che ti ha colpito di più? Per quale motivo? Raccontaci.
C: La battaglia che più mi ha colpito… decisamente quella di Farsalo, in Tessaglia, nel 48 a.C., contro Pompeo! Per poco non mi batté, ma alla fine, registrai una celebre vittoria. Badate bene, ero anche in svantaggio: lui aveva più uomini e molti cavalli. Questo ci mise in una situazione di stallo per un po’. C’era un silenzio surreale sul campo e parecchia agitazione. Dovrò sempre ringraziare i miei uomini per la loro calma e per il loro straordinario giudizio. Dunque, la battaglia si svolse in questo modo: la cavalleria numerosa del nemico stava opprimendo la mia, ma con un inganno riuscii a trarla in un’imboscata: i cavalieri di Pompeo, infatti, mentre inseguivano i miei, vennero presi alla sprovvista da alcuni fanti che avevo predisposto per distruggerli. A questo punto la nostra fanteria ebbe la strada spianata e così l’esercito di Pompeo fu annientato. La mia battaglia migliore, credetemi!
I: Dev’essere stato emozionante!
C: Assolutamente sì!
I: Cesare, ti saresti mai aspettato un simile tradimento da parte dei tuoi colleghi e, in particolare, da parte di Bruto?
C: Se devo essere sincero, sì, me lo aspettavo, ed era proprio per questo motivo che, da qualche tempo, non dormivo tranquillamente. Soffrivo, infatti, di insonnia e passavo le nottate, perennemente controllato dalle guardie che avevo arruolato per proteggermi, a studiare nuovi metodi di combattimento, con i quali, un giorno, io e il mio esercito avremmo potuto combattere contro gli abitanti dei territori che avremmo conquistato.
Dopo la morte di Pompeo, infatti, ero molto contento di aver ottenuto tutto il potere a cui tanto avevo ambito, ma sospettavo che qualcuno potesse, erroneamente, credere che volessi instaurare nuovamente la monarchia a Roma. Il mio obiettivo era, invece, quello di rendere la Repubblica Romana un posto migliore. Volevo diventasse un luogo privo di ingiustizie, dove non fossero troppe evidenti le disparità tra i ceti sociali.
Per quanto riguarda, invece, la presenza di Bruto alla congiura, posso ritenermi molto deluso dal suo comportamento; mi ero sempre impegnato a proteggerlo e, per l'amore che provavo nei suoi confronti, lo avevo anche adottato.
I: Avremmo da porti un’altra domanda. Sappiamo da fonti fidate che avevi un amico, Marco Antonio, uomo che, proprio grazie a te, fu eletto tribuno della plebe nel 50 a.C. Possiamo dire che la vostra fu una bella amicizia, considerando che ti sostenne spesso
durante le tue imprese politiche. Se ciò è vero, come mai hai proclamato come tuo successore Ottaviano? E chi era costui per te?
C: Sospettavo che mi avreste posto questa domanda, come sospettavo che lo stesso Antonio si sarebbe ribellato alla mia decisione. Eravamo amici, sì, lui ha sempre appoggiato le mie scelte e le mie decisioni, ma sinceramente non lo ritenni mai degno di essere mio successore e nemmeno capace di gestire i miei poteri. Al contrario, Ottaviano era il figlio di mia sorella Giulia e si era sempre distinto come bravo ragazzo e, poiché viveva a palazzo con me, mi accorsi quanto, sin da bambino, fosse interessato alle mie attività e alla politica. Tenevo molto a quel giovane e anche per questo lo adottai. Oggi posso affermare di aver preso una giusta decisione: diedi il comando ad un membro della mia famiglia e allo stesso tempo ad un buon comandante.
I: Grazie Cesare! Ultima domanda: quando hai visto per la prima volta Cleopatra da cosa sei rimasto più colpito? Dalla sua bellezza o dalla spiccata intelligenza?
C: Mi ricordo ancora oggi la bellezza e l’abito che indossava la prima volta che la vidi, rimasi senza parole. La conobbi in strane circostanze, lei era intimorita, per avere protezione si era nascosta in un tappeto, aveva bisogno del mio aiuto. Cleopatra era una donna così affascinante a cui era impossibile resistere. Oltre al suo fascino, era colta, ammiravo la sua intelligenza e il suo animo puro. Era conosciuta da tutti come la grande Regina d’Egitto, una donna abile e caparbia e, di certo, mi affascinò. Ebbene sì, fu un colpo di fulmine, amavo tutto di lei, anche la sua splendida voce.
I: Grazie per il tuo tempo Cesare!
C: È stato un piacere!
I: Buongiorno, Cesare. Grazie per esserti prestato a quest’intervista. Noi tutti ti ammiriamo molto e stimiamo la tua mirabile strategia militare; dunque, per questo, la prima domanda che ti rivolgiamo è la seguente: qual è la battaglia che ti ha colpito di più? Per quale motivo? Raccontaci.
C: La battaglia che più mi ha colpito… decisamente quella di Farsalo, in Tessaglia, nel 48 a.C., contro Pompeo! Per poco non mi batté, ma alla fine, registrai una celebre vittoria. Badate bene, ero anche in svantaggio: lui aveva più uomini e molti cavalli. Questo ci mise in una situazione di stallo per un po’. C’era un silenzio surreale sul campo e parecchia agitazione. Dovrò sempre ringraziare i miei uomini per la loro calma e per il loro straordinario giudizio. Dunque, la battaglia si svolse in questo modo: la cavalleria numerosa del nemico stava opprimendo la mia, ma con un inganno riuscii a trarla in un’imboscata: i cavalieri di Pompeo, infatti, mentre inseguivano i miei, vennero presi alla sprovvista da alcuni fanti che avevo predisposto per distruggerli. A questo punto la nostra fanteria ebbe la strada spianata e così l’esercito di Pompeo fu annientato. La mia battaglia migliore, credetemi!
I: Dev’essere stato emozionante!
C: Assolutamente sì!
I: Cesare, ti saresti mai aspettato un simile tradimento da parte dei tuoi colleghi e, in particolare, da parte di Bruto?
C: Se devo essere sincero, sì, me lo aspettavo, ed era proprio per questo motivo che, da qualche tempo, non dormivo tranquillamente. Soffrivo, infatti, di insonnia e passavo le nottate, perennemente controllato dalle guardie che avevo arruolato per proteggermi, a studiare nuovi metodi di combattimento, con i quali, un giorno, io e il mio esercito avremmo potuto combattere contro gli abitanti dei territori che avremmo conquistato.
Dopo la morte di Pompeo, infatti, ero molto contento di aver ottenuto tutto il potere a cui tanto avevo ambito, ma sospettavo che qualcuno potesse, erroneamente, credere che volessi instaurare nuovamente la monarchia a Roma. Il mio obiettivo era, invece, quello di rendere la Repubblica Romana un posto migliore. Volevo diventasse un luogo privo di ingiustizie, dove non fossero troppe evidenti le disparità tra i ceti sociali.
Per quanto riguarda, invece, la presenza di Bruto alla congiura, posso ritenermi molto deluso dal suo comportamento; mi ero sempre impegnato a proteggerlo e, per l'amore che provavo nei suoi confronti, lo avevo anche adottato.
I: Avremmo da porti un’altra domanda. Sappiamo da fonti fidate che avevi un amico, Marco Antonio, uomo che, proprio grazie a te, fu eletto tribuno della plebe nel 50 a.C. Possiamo dire che la vostra fu una bella amicizia, considerando che ti sostenne spesso
durante le tue imprese politiche. Se ciò è vero, come mai hai proclamato come tuo successore Ottaviano? E chi era costui per te?
C: Sospettavo che mi avreste posto questa domanda, come sospettavo che lo stesso Antonio si sarebbe ribellato alla mia decisione. Eravamo amici, sì, lui ha sempre appoggiato le mie scelte e le mie decisioni, ma sinceramente non lo ritenni mai degno di essere mio successore e nemmeno capace di gestire i miei poteri. Al contrario, Ottaviano era il figlio di mia sorella Giulia e si era sempre distinto come bravo ragazzo e, poiché viveva a palazzo con me, mi accorsi quanto, sin da bambino, fosse interessato alle mie attività e alla politica. Tenevo molto a quel giovane e anche per questo lo adottai. Oggi posso affermare di aver preso una giusta decisione: diedi il comando ad un membro della mia famiglia e allo stesso tempo ad un buon comandante.
I: Grazie Cesare! Ultima domanda: quando hai visto per la prima volta Cleopatra da cosa sei rimasto più colpito? Dalla sua bellezza o dalla spiccata intelligenza?
C: Mi ricordo ancora oggi la bellezza e l’abito che indossava la prima volta che la vidi, rimasi senza parole. La conobbi in strane circostanze, lei era intimorita, per avere protezione si era nascosta in un tappeto, aveva bisogno del mio aiuto. Cleopatra era una donna così affascinante a cui era impossibile resistere. Oltre al suo fascino, era colta, ammiravo la sua intelligenza e il suo animo puro. Era conosciuta da tutti come la grande Regina d’Egitto, una donna abile e caparbia e, di certo, mi affascinò. Ebbene sì, fu un colpo di fulmine, amavo tutto di lei, anche la sua splendida voce.
I: Grazie per il tuo tempo Cesare!
C: È stato un piacere!
SIRENE CON LE ALI? LE RACCONTA OMERO!
Quando sentiamo la parola ‘sirena’, pensiamo ad una figura bella, affascinante, con l’estremità inferiore del corpo che si allunga in una colorata coda di pesce. Ma sono davvero queste le sirene di cui si parla nell’Odissea? Sono queste stesse sirene ad attirare gli uomini in acqua con il loro fascino al fine di nutrirsene? Chi, meglio dell’autore stesso dell’Odissea, potrebbe chiarire i nostri dubbi?
È davvero un onore poter parlare con lei, Omero. Le chiederei, per prima cosa, di riassumere brevemente l’episodio in cui Odisseo ascolta il canto delle sirene, per coloro che non ne hanno mai sentito parlare.
Quest’episodio racconta il tentativo di Odisseo di ascoltare il famoso ma temutissimo canto delle sirene, che induceva gli uomini che lo ascoltavano a buttarsi in mare per raggiungerle. Odisseo, al fine di ascoltarlo senza pericoli, si fa legare dal suo equipaggio, che nel frattempo chiuderà le orecchie con tappi di cera, all’albero maestro, così da non poter andare verso i mostri marini neanche volendolo.
Quello che in molti non sanno è ciò in cui questo canto in realtà consiste.
Ultimamente siete abituati a vedere il canto delle sirene come qualcosa di seducente ed erotico, ma ciò che in realtà le creature marine promettevano era di rivelare la conoscenza assoluta.
Sta dicendo che ciò da cui Odisseo è così tentato è il possesso del sapere?
Non vuole del sapere ma il sapere. Le sirene sostengono di conoscere tutto quello che avviene sulla terra nutrice. Nel canto delle sirene non c’è nulla di erotico, come non c’è nulla di erotico nelle sirene stesse.
Potrebbe approfondire questo punto, spiegarsi meglio ai lettori?
Le seduttrici che tutti conoscono attraenti e con la coda di pesce, non sono le creature di cui parlo nell’Odissea. L’idea della sirena che voi avete in mente nasce nel Medioevo, ha origini nordiche ed ha finito per sostituire la figura di cui si parla nel mio poema. Le sirene che tentano Odisseo non sono attraenti e non hanno una coda, ma un corpo di uccello. Io non le descrivo molto dettagliatamente, ma sicuramente conoscerete Ovidio: ne parla diffusamente nella sua opera, Le Metamorfosi.
La ringrazio vivamente per questo approfondimento e per il tempo che ci ha concesso. I dubbi di molte persone verranno sicuramente chiariti e potremo finalmente vedere queste figure per come sono realmente.
Ultimamente siete abituati a vedere il canto delle sirene come qualcosa di seducente ed erotico, ma ciò che in realtà le creature marine promettevano era di rivelare la conoscenza assoluta.
Sta dicendo che ciò da cui Odisseo è così tentato è il possesso del sapere?
Non vuole del sapere ma il sapere. Le sirene sostengono di conoscere tutto quello che avviene sulla terra nutrice. Nel canto delle sirene non c’è nulla di erotico, come non c’è nulla di erotico nelle sirene stesse.
Potrebbe approfondire questo punto, spiegarsi meglio ai lettori?
Le seduttrici che tutti conoscono attraenti e con la coda di pesce, non sono le creature di cui parlo nell’Odissea. L’idea della sirena che voi avete in mente nasce nel Medioevo, ha origini nordiche ed ha finito per sostituire la figura di cui si parla nel mio poema. Le sirene che tentano Odisseo non sono attraenti e non hanno una coda, ma un corpo di uccello. Io non le descrivo molto dettagliatamente, ma sicuramente conoscerete Ovidio: ne parla diffusamente nella sua opera, Le Metamorfosi.
La ringrazio vivamente per questo approfondimento e per il tempo che ci ha concesso. I dubbi di molte persone verranno sicuramente chiariti e potremo finalmente vedere queste figure per come sono realmente.
DUE CHIACCHIERE CON... CALIPSO
Calipso (in greco Καλυψώ che significa “nascondere”) è un personaggio della mitologia greca, ninfa, figlia di Atlante.
Nell’Odissea e accoglie sull’isola di Ogigia Odisseo naufrago e, innamorata di lui, lo trattiene per 7 anni, finché non riceve da Zeus l’ordine di lasciarlo partire. È una figura misteriosa, già solo di Ogigia non si sa precisamente la posizione geografica se non che si trova nel Mar Mediterraneo; abbiamo quindi deciso di farle un’intervista, per approfondire meglio alcuni aspetti di questa figura mitologica.
COME MAI SI TROVA SU OGIGIA?
“Successe molti millenni fa, (come penso si saprà) mio padre è il Titano Atlante. Durante il dominio dei Titani mi schierai dalla sua parte, ma quando gli Dei presero il controllo del mondo non esitarono a punirmi e mi rinchiusero su Ogigia. Per secoli vissi nella solitudine, lontana dal mondo; non sapevo cosa stesse succedendo al di fuori di un’isola sperduta nel mar Mediterraneo. Giurai vendetta agli dei, ma ahimè dopo millenni sono ancora bloccata qui.”
E’ PROPRIO PER VIA DELLA SOLITUDINE CHE HA TRATTENUTO ODISSEO PER SETTE ANNI?
“Inizialmente sì; quando Odisseo approdò su Ogigia, provai un’immensa gioia: finalmente non ero più sola. Ma poco dopo me ne innamorai ed esclusi il pensiero di lasciarlo tornare a casa.
Per i primi anni lui non sembrava troppo dispiaciuto; il tempo è strano ad Ogigia quindi poteva pensare che fossero passati solo pochi giorni. Poi iniziò a cambiare, mi chiedeva continuamente il permesso di andarsene, di tornare alla sua patria, io non riuscivo a cedere. Come ogni eroe purtroppo non sognava la vita eterna, ma l’avventura e l’onore, quindi rifiutò il mio dono di immortalità. Capii che il mio amore non era corrisposto, ma continuai a sedurlo con la mia bellezza. In alcuni momenti penso che mi abbia temuto, aveva sempre paura di darmi torto, tanto che mi assecondava controvoglia. E’ lasciare una persona che si ama; Odisseo mi aveva salvato dalla solitudine, aveva smosso in me il sentimento dell’amore”.
COME MAI ALLA FINE HAI CEDUTO A LASCIARLO TORNARE A CASA?
“Inizialmente non ne volli sapere. Quando Ermes mi disse che Zeus aveva ordinato di liberare Odisseo protestai; sapevo che un giorno sarebbe successo, d’altronde l’altra parte della mia maledizione era che su Ogigia potevano approdare solo uomini di cui mi sarei potuta innamorare, ma che ad un certo punto avrebbero dovuto lasciare l’isola. Il dio messaggero mi ammonì, ricordandomi che non ci si poteva opporre al proprio destino; così a malincuore liberai il mio amato. Sapevo che era la cosa giusta da fare, anche se difficile e dolorosa”.
Dal mito di Calipso, i Greci imparavano a individuare le seduttrici, a distinguerle dalle donne oneste, le loro mogli, le loro madri, le loro sorelle.
DUE CHIACCHiERE CON... PATROCLO
Patroclo, valoroso guerriero che prese parte alla guerra di Troia, è da noi conosciuto e ricordato per il suo coraggio grazie all’Iliade, poema con il quale noi tutti abbiamo imparato a conoscerlo e amarlo.
Quello che leggiamo però, benché raccontato nei minimi dettagli, non è di certo ciò che ogni singolo eroe vedeva, motivo per cui abbiamo chiesto a Patroclo stesso di raccontarci come sia veramente andata, per immedesimarci completamente nella guerra e avere un punto di vista soggettivo su cui basarci.
Salve Patroclo, grazie per averci concesso quest’intervista. Potrebbe cominciare col dirci chi è e che ruolo ha avuto nella guerra di Troia?
Certamente: ero un guerriero molto valoroso al tempo, figlio del glorioso Menezio di Opunte e di Stenele bella guancia. La mia patria era la Locride, ma crebbi e fui educato a Ftia con Achille, da molti ritenuto, erroneamente, mio cugino. Partii con lui per la guerra e, quando si ritirò, io non lo feci e continuai a combattere, incitando l’esercito Acheo a non cedere; quando però mi accorsi che la situazione stava diventando tragica, decisi che alle truppe serviva qualcosa di più di semplici incitamenti: ho chiesto ad Achille di poter utilizzare le sue armi e la sua armatura. Facendolo, ho ottenuto ciò che volevo, ma sembra che gli Dei mi fossero contro e così anche la Moira; Ettore domatore di cavalli, dopo che già due volte ero stato colpito, mandò la mia anime piangente nell’Ade.
Parlando di Ettore, come ben sa è stato ucciso anche lui e, come se la morte non bastasse, il suo corpo è stato disonorato da Achille. Quali sono i suoi pensieri a riguardo?
Sono contento che Achille mi abbia vendicato, ma ciò che il corpo del Troiano ha dovuto subire è stato eccessivo anche per me, che a causa sua ho perso la vita. Penso che Ettore, per quanto con me sia stato crudele ed esageratamente vanitoso, non abbia colpa: gli Dei e la Chera, come già detto, mi erano avversi. Ettore ha solamente finito ciò che il Dio che saetta ed Euforbo di Pantoo avevano iniziato.
Come lei ha detto, Achille stesso l’ha vendicata. Tutti coloro che hanno letto l’Iliade hanno avuto modo di vedere come, oltre ad aver combattuto, il guerriero si sia anche disperato numerose volte per lei, in particolare nel momento in cui ha saputo della sua morte. Dovevate essere molto legati.
Come ho detto siamo cresciuti insieme, con la stessa educazione e nello stesso luogo, mi sembra naturale che fossimo particolarmente legati. Siamo partiti per la guerra insieme e insieme speravamo di tornare vittoriosi.
Si trattava quindi di un rapporto platonico?
Era decisamente qualcosa di più di un rapporto platonico. Io e Achille ci rispettavamo ed eravamo tutto l’uno per l’altro. Siamo stati sepolti insieme.
Direi che può bastare. La ringrazio per il tempo che ci ha dedicato, aiuterà molte persone a comprendere meglio ciò che l’Iliade e la Guerra di Troia sono state veramente. Le auguriamo di godersi il resto della sua esistenza nei campi Elisi.
Patroclo, valoroso guerriero che prese parte alla guerra di Troia, è da noi conosciuto e ricordato per il suo coraggio grazie all’Iliade, poema con il quale noi tutti abbiamo imparato a conoscerlo e amarlo.
Quello che leggiamo però, benché raccontato nei minimi dettagli, non è di certo ciò che ogni singolo eroe vedeva, motivo per cui abbiamo chiesto a Patroclo stesso di raccontarci come sia veramente andata, per immedesimarci completamente nella guerra e avere un punto di vista soggettivo su cui basarci.
Salve Patroclo, grazie per averci concesso quest’intervista. Potrebbe cominciare col dirci chi è e che ruolo ha avuto nella guerra di Troia?
Certamente: ero un guerriero molto valoroso al tempo, figlio del glorioso Menezio di Opunte e di Stenele bella guancia. La mia patria era la Locride, ma crebbi e fui educato a Ftia con Achille, da molti ritenuto, erroneamente, mio cugino. Partii con lui per la guerra e, quando si ritirò, io non lo feci e continuai a combattere, incitando l’esercito Acheo a non cedere; quando però mi accorsi che la situazione stava diventando tragica, decisi che alle truppe serviva qualcosa di più di semplici incitamenti: ho chiesto ad Achille di poter utilizzare le sue armi e la sua armatura. Facendolo, ho ottenuto ciò che volevo, ma sembra che gli Dei mi fossero contro e così anche la Moira; Ettore domatore di cavalli, dopo che già due volte ero stato colpito, mandò la mia anime piangente nell’Ade.
Parlando di Ettore, come ben sa è stato ucciso anche lui e, come se la morte non bastasse, il suo corpo è stato disonorato da Achille. Quali sono i suoi pensieri a riguardo?
Sono contento che Achille mi abbia vendicato, ma ciò che il corpo del Troiano ha dovuto subire è stato eccessivo anche per me, che a causa sua ho perso la vita. Penso che Ettore, per quanto con me sia stato crudele ed esageratamente vanitoso, non abbia colpa: gli Dei e la Chera, come già detto, mi erano avversi. Ettore ha solamente finito ciò che il Dio che saetta ed Euforbo di Pantoo avevano iniziato.
Come lei ha detto, Achille stesso l’ha vendicata. Tutti coloro che hanno letto l’Iliade hanno avuto modo di vedere come, oltre ad aver combattuto, il guerriero si sia anche disperato numerose volte per lei, in particolare nel momento in cui ha saputo della sua morte. Dovevate essere molto legati.
Come ho detto siamo cresciuti insieme, con la stessa educazione e nello stesso luogo, mi sembra naturale che fossimo particolarmente legati. Siamo partiti per la guerra insieme e insieme speravamo di tornare vittoriosi.
Si trattava quindi di un rapporto platonico?
Era decisamente qualcosa di più di un rapporto platonico. Io e Achille ci rispettavamo ed eravamo tutto l’uno per l’altro. Siamo stati sepolti insieme.
Direi che può bastare. La ringrazio per il tempo che ci ha dedicato, aiuterà molte persone a comprendere meglio ciò che l’Iliade e la Guerra di Troia sono state veramente. Le auguriamo di godersi il resto della sua esistenza nei campi Elisi.
Interviste ad autori o persone reali:
INTERVISTA ALLE ROMITE AMBROSIANE DEL 16 DICEMBRE 2021
La seguente intervista è stata realizzata grazie a una corrispondenza con le suore del Monastero. Ci è parso interessante raccogliere i pensieri di coloro che abitano al Sacro Monte e che hanno partecipato attivamente nei secoli alla trasformazione del territorio e alla realizzazione della via Sacra.
NOI: Grazie mille per esservi rese disponibili per questa breve intervista! La prima domanda che vi poniamo è la seguente: perché i ragazzi dovrebbero visitare il Sacro Monte oggi?
RISPOSTA 1: Penso che questo luogo sia capace di regalare assaggi di cielo. Sono una fotografa appassionata, e quando sono arrivata qui mi sono stupita davanti ad innumerevoli tramonti. Credo che valga la pena muoversi, per guardare qualcosa capace di regalare bellezza. D’un tratto ci si sente pieni di un silenzio che parla al cuore.
RISPOSTA 2: Mi ha sempre colpito l'esperienza di una ragazza che ora è studentessa universitaria. L'abbiamo conosciuta quando ha iniziato le superiori e ha iniziato a suonare qualche volta il campanello del nostro Centro di spiritualità (dove accogliamo le persone che desiderano pregare con noi... oggi a causa del Covid è un po' in stand by, ma stiamo facendo i primi passi di riapertura) dicendo che aveva bisogno di silenzio perché tra la scuola, i tanti impegni e i fratelli piccoli non ci stava dentro! Il silenzio del monastero ma, nei giorni feriali e soprattutto in inverno, anche il silenzio del Sacro Monte nel suo complesso, possono essere un buon motivo per salire quassù, rimettere in ordine i pensieri, ridare importanza alle cose che contano e lasciare un momento da parte quelle che gridano senza avere sostanza…
RISPOSTA 3: Perché è un luogo ricco di natura, arte e che offre spazi di preghiera a chi lo desidera parlando al cuore di pellegrini e turisti di tutte le età. A me personalmente da bambina, e poi da adolescente, piaceva venire qui con la mia parrocchia perché avevo sempre la sensazione che ci fosse qualcuno che mi accompagnava durante il cammino e che mi aspettava in cima al monte.
NOI: Grazie! Andiamo avanti… c'è un luogo al Sacro Monte (o un aneddoto) che nessuno o pochi conoscono?
RISPOSTA 1: Ci sono in particolare due aneddoti divertenti, che si tramandano di generazione in generazione. Il primo ha come protagonista una mucca di nome Bianchina. Qualche tempo fa i monasteri avevano delle suore chiamate “tornere”, che avevano il compito di sbrigare delle commissioni per il monastero per le quali era necessario uscire dalla clausura. Da noi, svolgeva questo compito suor Cristina e quel giorno aveva ricevuto l’incarico di portare le mucche al pascolo, chiamato “le pizzelle”. Durante il tragitto di ritorno al monastero Bianchina, presa da un’improvvisa devozione e sfuggendo alle abili mani della suora, si precipitò in Santuario… dove proprio in quel momento si stava celebrando un matrimonio! Vi lasciamo immaginare la sorpresa degli sposi e del prete che stupito esclamò: “Ora che i fedeli non vengono più a messa al loro posto arrivano le bestie!”.
Se già questa vicenda vi ha fatto sorridere, ora ne arriva un’altra ancora più esilarante. Questo aneddoto ha come protagonista una pecora. Quando per il monastero era molto comune ricevere regali che non si potevano impacchettare o mettere in borsetta, ecco che alcuni benefattori avevano ben pensato di recapitare un (poco gradito) gregge di pecore! Al momento dello “scarico” avvenuto
sul piazzale interno del monastero, tra il tira e molla del “tieniti la pecora!” “No è per voi, è un regalo”, una delle pecore, presa da un certo smarrimento, scambiò un mucchietto di sabbia per un trampolino e con un balzo precipitò dal muretto finendo sulla sottostante via Bianchi, senza riportare alcun trauma. Fin qui la storia sembra già molto divertente, ma ancora non è tutto. Nel frattempo dopo “il volo” si presentò alla porta del monastero un signore concitato, che comunicò alla suora portinaia di aver visto cadere dal muretto del monastero una pecora. La suora che non sapeva niente dell’accaduto andò a riferire alla comunità che un signore non tanto giusto e forse un po’ ubriaco era venuto a raccontare di una pecora caduta da un muretto del monastero. Pensate!
RISPOSTA 2: Un luogo molto bello e poco conosciuto del Sacro Monte è la via Fincarà. Noi la percorrevamo fino a qualche anno fa quando c'erano elezioni o referendum perché il Comune di Varese predisponeva il seggio elettorale nella vecchia scuola elementare che si trova in fondo a via Fincarà (la strada dove si incontra l'albergo Colonne e che prosegue un bel pezzo dolcemente verso valle).
Ora il seggio è sempre al piazzale Pogliaghi e quindi la nostra 'passeggiata elettorale' è molto più breve e meno pittoresca, ma se qualcuno ha voglia di sgranchirsi le gambe si tratta davvero di una bella passeggiata!
RISPOSTA 3: Penso che in realtà il luogo meno conosciuto del Sacro Monte sia proprio il Monastero! Non solo e tanto perché si tratta di un luogo diviso delimitato dalla clausura… ci sono tante foto degli interni e delle opere d’arte presenti in monastero, per cui in qualche modo i luoghi sono conosciuti. Inoltre (anche se sarebbe proibito!) vediamo o sentiamo qualche drone che ci ronza sulla testa “carpendo” immagini della nostra casa e del nostro giardino. Quello che è veramente poco conosciuto, secondo me, è il monastero come realtà viva. Pensa che qualche anno fa i genitori di una ragazza arrivata da poco in comunità, mentre si avvicinavano all’ingresso dei parlatori per incontrare loro figlia, hanno sentito una persona che spiegava ad un amico additando la nostra casa: “Ecco, qui c’era un monastero, ma ormai le suore non ci sono più da tanti anni!” Le Romite, in realtà sono presenti sul Sacro Monte dalla metà del XV secolo senza soluzione di continuità: questo per noi è un grande miracolo! Anche durante il periodo della soppressione formale del monastero in età napoleonica alle monache era stato concesso di rimanere in loco come custodi laiche degli ambienti ma loro, di nascosto e senza esteriori (ad esempio l’abito) hanno continuato a fare vita monastica. E questo vuol dire che hanno continuato non solo a pregare, ma a coltivare la terra, ad allevare e mungere le mucche, ad avere cura degli ambienti e delle opere d’arte, a prendersi cura delle sorelle anziane e malate, a cucinare, fare il bucato, ricevere visite, cantare, guardare il panorama meraviglioso che si gode da qui, fare passeggiate in giardino, sfidare la neve fino alla vita, per andare a pregare la Madonna della torre sulla cima del Monte…
NOI: Bianchina è stata davvero divertente! Grazie per le risposte così ricche di dettagli. Ultima domanda: dal punto di vista artistico o spirituale quale è la cappella che più vi piace e perché?
RISPOSTA 1: La cappella che più mi ha colpito è l’undicesima, quella dedicata al mistero della Resurrezione di Gesù. Mi meraviglia sempre vedere che la tomba, il sepolcro, è vuoto e questa cappella sembra quasi invitarci, anche attraverso gli sguardi e le espressioni sbalordite dei personaggi, a constatare che è davvero così: è vuoto. Mi ricorda che il centro della fede cristiana è questo annuncio stupito e gioioso: Il Signore è risorto e io sono salvata.
RISPOSTA 2: La cappella che preferisco è la decima: rappresenta il mistero della Crocifissione di Gesù. Mi sembra molto affascinante, non solo perché questo mistero è centrale per la fede cristiana e anche per la nostra spiritualità di Romite, figlie di Caterina da Pallanza e Giuliana da Busto
Verghera. Il suo fascino è anche nell'architettura e nella maestria con cui sono state modellate le statue in terracotta policroma. Solo un dettaglio per l'architettura e uno per le statue. Per l'architettura: l'ingresso della luce è stato studiato in modo molto preciso per questa cappella. Si è pensato alle finestre in modo tale che, in primavera, proprio nel periodo in cui solitamente ricorre la Pasqua (e quindi il Venerdì santo, giorno della morte di Gesù), la luce attorno alle tre del pomeriggio illumini esattamente il Crocifisso da una finestra posta in alto. Per le statue: non so se avete notato ma tra le sculture di questa cappella è rappresentata (anacronisticamente) una zingara con il suo bambino per mano. Mi sembra un dettaglio molto bello perché apre all'universalità del tempo e dello spazio la salvezza che Gesù realizza con la sua morte.
RISPOSTA 3: Devo confessarvi che non avevo mai pensato a quale potesse essere la mia cappella preferita. Forse ora che sono in monastero quella a cui sono più legata è la quindicesima, il Santuario, perché è un po’ la nostra “cappella di casa”! Ce n’è però un’altra di cui mi piacciono diversi elementi, ed è la terza, quella dedicata al mistero della nascita di Gesù a Betlemme. È una cappella che contiene una trentina di statue che compongono la scena della natività, con Maria e Giuseppe e i pastori che adorano il Bambino Gesù. Lo scultore ha prestato particolare attenzione agli abiti dei personaggi, cercando di rendere il movimento e la consistenza della stoffa. Mi colpisce, quindi, che il pastore più vicino a Gesù sia il meno vestito di tutti, come se avesse scelto di farsi vedere dal Bambino così com’è per farsi rivestire da lui. Gli altri due elementi che mi piacciono molto, sono la mangiatoia, ricavata da un pezzo di una vera mangiatoia per animali, e il disegno formato dalle lastre del pavimento: sagomano una specie di strada che conduce alla mangiatoia e che invita chi osserva la scena ad avvicinarsi insieme ai pastori, senza paura di non “essere all’altezza”, perché ognuno può presentarsi indossando i propri vestiti, cioè le proprie caratteristiche e la propria vita sapendola accolta da Gesù.
NOI: Grazie ancora per le risposte davvero interessanti! È stato un piacere potervi sentir raccontare della vita in monastero e delle storie divertenti che lo hanno popolato. Arrivederci!
La seguente intervista è stata realizzata grazie a una corrispondenza con le suore del Monastero. Ci è parso interessante raccogliere i pensieri di coloro che abitano al Sacro Monte e che hanno partecipato attivamente nei secoli alla trasformazione del territorio e alla realizzazione della via Sacra.
NOI: Grazie mille per esservi rese disponibili per questa breve intervista! La prima domanda che vi poniamo è la seguente: perché i ragazzi dovrebbero visitare il Sacro Monte oggi?
RISPOSTA 1: Penso che questo luogo sia capace di regalare assaggi di cielo. Sono una fotografa appassionata, e quando sono arrivata qui mi sono stupita davanti ad innumerevoli tramonti. Credo che valga la pena muoversi, per guardare qualcosa capace di regalare bellezza. D’un tratto ci si sente pieni di un silenzio che parla al cuore.
RISPOSTA 2: Mi ha sempre colpito l'esperienza di una ragazza che ora è studentessa universitaria. L'abbiamo conosciuta quando ha iniziato le superiori e ha iniziato a suonare qualche volta il campanello del nostro Centro di spiritualità (dove accogliamo le persone che desiderano pregare con noi... oggi a causa del Covid è un po' in stand by, ma stiamo facendo i primi passi di riapertura) dicendo che aveva bisogno di silenzio perché tra la scuola, i tanti impegni e i fratelli piccoli non ci stava dentro! Il silenzio del monastero ma, nei giorni feriali e soprattutto in inverno, anche il silenzio del Sacro Monte nel suo complesso, possono essere un buon motivo per salire quassù, rimettere in ordine i pensieri, ridare importanza alle cose che contano e lasciare un momento da parte quelle che gridano senza avere sostanza…
RISPOSTA 3: Perché è un luogo ricco di natura, arte e che offre spazi di preghiera a chi lo desidera parlando al cuore di pellegrini e turisti di tutte le età. A me personalmente da bambina, e poi da adolescente, piaceva venire qui con la mia parrocchia perché avevo sempre la sensazione che ci fosse qualcuno che mi accompagnava durante il cammino e che mi aspettava in cima al monte.
NOI: Grazie! Andiamo avanti… c'è un luogo al Sacro Monte (o un aneddoto) che nessuno o pochi conoscono?
RISPOSTA 1: Ci sono in particolare due aneddoti divertenti, che si tramandano di generazione in generazione. Il primo ha come protagonista una mucca di nome Bianchina. Qualche tempo fa i monasteri avevano delle suore chiamate “tornere”, che avevano il compito di sbrigare delle commissioni per il monastero per le quali era necessario uscire dalla clausura. Da noi, svolgeva questo compito suor Cristina e quel giorno aveva ricevuto l’incarico di portare le mucche al pascolo, chiamato “le pizzelle”. Durante il tragitto di ritorno al monastero Bianchina, presa da un’improvvisa devozione e sfuggendo alle abili mani della suora, si precipitò in Santuario… dove proprio in quel momento si stava celebrando un matrimonio! Vi lasciamo immaginare la sorpresa degli sposi e del prete che stupito esclamò: “Ora che i fedeli non vengono più a messa al loro posto arrivano le bestie!”.
Se già questa vicenda vi ha fatto sorridere, ora ne arriva un’altra ancora più esilarante. Questo aneddoto ha come protagonista una pecora. Quando per il monastero era molto comune ricevere regali che non si potevano impacchettare o mettere in borsetta, ecco che alcuni benefattori avevano ben pensato di recapitare un (poco gradito) gregge di pecore! Al momento dello “scarico” avvenuto
sul piazzale interno del monastero, tra il tira e molla del “tieniti la pecora!” “No è per voi, è un regalo”, una delle pecore, presa da un certo smarrimento, scambiò un mucchietto di sabbia per un trampolino e con un balzo precipitò dal muretto finendo sulla sottostante via Bianchi, senza riportare alcun trauma. Fin qui la storia sembra già molto divertente, ma ancora non è tutto. Nel frattempo dopo “il volo” si presentò alla porta del monastero un signore concitato, che comunicò alla suora portinaia di aver visto cadere dal muretto del monastero una pecora. La suora che non sapeva niente dell’accaduto andò a riferire alla comunità che un signore non tanto giusto e forse un po’ ubriaco era venuto a raccontare di una pecora caduta da un muretto del monastero. Pensate!
RISPOSTA 2: Un luogo molto bello e poco conosciuto del Sacro Monte è la via Fincarà. Noi la percorrevamo fino a qualche anno fa quando c'erano elezioni o referendum perché il Comune di Varese predisponeva il seggio elettorale nella vecchia scuola elementare che si trova in fondo a via Fincarà (la strada dove si incontra l'albergo Colonne e che prosegue un bel pezzo dolcemente verso valle).
Ora il seggio è sempre al piazzale Pogliaghi e quindi la nostra 'passeggiata elettorale' è molto più breve e meno pittoresca, ma se qualcuno ha voglia di sgranchirsi le gambe si tratta davvero di una bella passeggiata!
RISPOSTA 3: Penso che in realtà il luogo meno conosciuto del Sacro Monte sia proprio il Monastero! Non solo e tanto perché si tratta di un luogo diviso delimitato dalla clausura… ci sono tante foto degli interni e delle opere d’arte presenti in monastero, per cui in qualche modo i luoghi sono conosciuti. Inoltre (anche se sarebbe proibito!) vediamo o sentiamo qualche drone che ci ronza sulla testa “carpendo” immagini della nostra casa e del nostro giardino. Quello che è veramente poco conosciuto, secondo me, è il monastero come realtà viva. Pensa che qualche anno fa i genitori di una ragazza arrivata da poco in comunità, mentre si avvicinavano all’ingresso dei parlatori per incontrare loro figlia, hanno sentito una persona che spiegava ad un amico additando la nostra casa: “Ecco, qui c’era un monastero, ma ormai le suore non ci sono più da tanti anni!” Le Romite, in realtà sono presenti sul Sacro Monte dalla metà del XV secolo senza soluzione di continuità: questo per noi è un grande miracolo! Anche durante il periodo della soppressione formale del monastero in età napoleonica alle monache era stato concesso di rimanere in loco come custodi laiche degli ambienti ma loro, di nascosto e senza esteriori (ad esempio l’abito) hanno continuato a fare vita monastica. E questo vuol dire che hanno continuato non solo a pregare, ma a coltivare la terra, ad allevare e mungere le mucche, ad avere cura degli ambienti e delle opere d’arte, a prendersi cura delle sorelle anziane e malate, a cucinare, fare il bucato, ricevere visite, cantare, guardare il panorama meraviglioso che si gode da qui, fare passeggiate in giardino, sfidare la neve fino alla vita, per andare a pregare la Madonna della torre sulla cima del Monte…
NOI: Bianchina è stata davvero divertente! Grazie per le risposte così ricche di dettagli. Ultima domanda: dal punto di vista artistico o spirituale quale è la cappella che più vi piace e perché?
RISPOSTA 1: La cappella che più mi ha colpito è l’undicesima, quella dedicata al mistero della Resurrezione di Gesù. Mi meraviglia sempre vedere che la tomba, il sepolcro, è vuoto e questa cappella sembra quasi invitarci, anche attraverso gli sguardi e le espressioni sbalordite dei personaggi, a constatare che è davvero così: è vuoto. Mi ricorda che il centro della fede cristiana è questo annuncio stupito e gioioso: Il Signore è risorto e io sono salvata.
RISPOSTA 2: La cappella che preferisco è la decima: rappresenta il mistero della Crocifissione di Gesù. Mi sembra molto affascinante, non solo perché questo mistero è centrale per la fede cristiana e anche per la nostra spiritualità di Romite, figlie di Caterina da Pallanza e Giuliana da Busto
Verghera. Il suo fascino è anche nell'architettura e nella maestria con cui sono state modellate le statue in terracotta policroma. Solo un dettaglio per l'architettura e uno per le statue. Per l'architettura: l'ingresso della luce è stato studiato in modo molto preciso per questa cappella. Si è pensato alle finestre in modo tale che, in primavera, proprio nel periodo in cui solitamente ricorre la Pasqua (e quindi il Venerdì santo, giorno della morte di Gesù), la luce attorno alle tre del pomeriggio illumini esattamente il Crocifisso da una finestra posta in alto. Per le statue: non so se avete notato ma tra le sculture di questa cappella è rappresentata (anacronisticamente) una zingara con il suo bambino per mano. Mi sembra un dettaglio molto bello perché apre all'universalità del tempo e dello spazio la salvezza che Gesù realizza con la sua morte.
RISPOSTA 3: Devo confessarvi che non avevo mai pensato a quale potesse essere la mia cappella preferita. Forse ora che sono in monastero quella a cui sono più legata è la quindicesima, il Santuario, perché è un po’ la nostra “cappella di casa”! Ce n’è però un’altra di cui mi piacciono diversi elementi, ed è la terza, quella dedicata al mistero della nascita di Gesù a Betlemme. È una cappella che contiene una trentina di statue che compongono la scena della natività, con Maria e Giuseppe e i pastori che adorano il Bambino Gesù. Lo scultore ha prestato particolare attenzione agli abiti dei personaggi, cercando di rendere il movimento e la consistenza della stoffa. Mi colpisce, quindi, che il pastore più vicino a Gesù sia il meno vestito di tutti, come se avesse scelto di farsi vedere dal Bambino così com’è per farsi rivestire da lui. Gli altri due elementi che mi piacciono molto, sono la mangiatoia, ricavata da un pezzo di una vera mangiatoia per animali, e il disegno formato dalle lastre del pavimento: sagomano una specie di strada che conduce alla mangiatoia e che invita chi osserva la scena ad avvicinarsi insieme ai pastori, senza paura di non “essere all’altezza”, perché ognuno può presentarsi indossando i propri vestiti, cioè le proprie caratteristiche e la propria vita sapendola accolta da Gesù.
NOI: Grazie ancora per le risposte davvero interessanti! È stato un piacere potervi sentir raccontare della vita in monastero e delle storie divertenti che lo hanno popolato. Arrivederci!
INTERVISTA ALL'AUTRICE DE LA "PRIGIONIERA DI TEHERAN" MARINA NEMAT
Avendo ricevuto la sua mail dalla prof.ssa Zilio, abbiamo deciso di intervistare Marina Nemat, l’autrice del libro “La prigioniera di Teheran”. Prima di tutto, abbiamo deciso di chiederle se fosse effettivamente possibile intervistarla e ci ha subito risposto con grande cordialità e gentilezza.
NOI: Prima di tutto vorremmo sapere come stai, va tutto bene?
MARINA: Sto bene, grazie.
NOI: A tutti noi è piaciuto molto il tuo libro, per la tua onestà e il tuo coraggio di fronte a questa esperienza traumatica. Come hai deciso di scrivere questo libro?
MARINA: Non è stata esattamente una decisione. Sono stata rilasciata dal carcere nel 1984 quando avevo quasi 19 anni. All'epoca non lo sapevo, ma avevo il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD), che all'epoca non era né diagnosticato né curato, e, per anni, non ne mostrai molti sintomi visibili. È stato solo dopo che siamo arrivati in Canada nel 1991 e abbiamo iniziato lentamente una nuova vita che ho iniziato a mostrare il peggioramento dei sintomi del disturbo da stress post-traumatico. Fu allora, in Canada, che iniziai a scrivere le mie esperienze come un modo per affrontare il carico emotivo/psicologico.
NOI: Qualcuno ti ha aiutato durante la scrittura?
MARINA: No, nessuno mi ha aiutato. Ho seguito corsi di scrittura creativa presso la School of Continuing Studies dell'Università di Toronto e ho completato lentamente il libro.
NOI: Sappiamo che adesso insegni scrittura all'Università di Toronto. Ma quando sei arrivata, è stato difficile andare d'accordo con i canadesi e in particolare con la conoscenza della lingua?
Non proprio. Avevo studiato inglese in Iran da quando ero all'asilo. Quando siamo arrivati in Canada, ci siamo fatti subito degli amici meravigliosi nella nostra chiesa, e sono diventata anche membro di un club del libro con alcune meravigliose donne canadesi.
NOI: Speriamo che tu stia bene ora, perché siamo sicuri che è stato davvero difficile rivivere quella parte particolare della tua vita, ma vorremo sapere l'impatto che questa esperienza ha avuto sulla tua vita, è ancora difficile pensare al tuo passato o è un punto di forza in questo momento?
MARINA: Non è mai facile parlarne, ma è certamente possibile. Anni fa ho deciso di testimoniare ciò che è successo a me e ai miei amici scrivendo e tenendo discorsi. Sapevo che non sarebbe stato facile, e non lo è stato. Ma so che dovevo farlo per poter vivere con me stessa.
NOI: Ammiriamo il tuo senso di responsabilità di fronte a tutti i tuoi amici che sono stati imprigionati nella prigione di Evin, che è ancora operativa. So che sono a conoscenza del tuo libro, quindi hai mai avuto paura delle spie o forse solo del fatto che loro sappiano di te?
MARINA: Sono stata minacciata molte volte. È spaventoso, ma la verità è che molti dei miei amici sono morti quando erano adolescenti. Ma ho vissuto. Adesso ho quasi 57 anni. Considero questa una lunga vita. Moriamo tutti. Non permetterò che la paura della morte mi impedisca di vivere e di fare ciò che credo sia giusto.
NOI: Parlando del tempo presente, come hai vissuto la situazione del Covid? La tua famiglia è sana? Mandiamo i nostri saluti anche a tuo marito, Andre.
MARINA: Siamo tutti vaccinati e sani. Grazie. Spero che anche voi e le vostre famiglie stiate bene! Ad essere onesti, non ho mai trovato difficili le restrizioni COVID. Sono state solo un po' scomode, ma ci siamo riusciti.
NOI: Leggendo il libro abbiamo capito che non aveva mai saputo della tua esperienza, quindi vorremmo sapere se ha letto il libro e come ha reagito.
MARINA: Sì, ha letto il libro. Si è scusato con me per non aver mai insistito di sapere cosa mi è successo ad Evin.
NOI: Siamo felici di averti intervistata e vogliamo che tu sappia che ti rispettiamo davvero per tutta la tua determinazione, gentilezza e cuore. Grazie mille per averci permesso di intervistarti, sempre felici di sentirti.
MARINA: Grazie mille per le vostre domande molto premurose! Vi auguro buona salute, pace e gioia!
Avendo ricevuto la sua mail dalla prof.ssa Zilio, abbiamo deciso di intervistare Marina Nemat, l’autrice del libro “La prigioniera di Teheran”. Prima di tutto, abbiamo deciso di chiederle se fosse effettivamente possibile intervistarla e ci ha subito risposto con grande cordialità e gentilezza.
NOI: Prima di tutto vorremmo sapere come stai, va tutto bene?
MARINA: Sto bene, grazie.
NOI: A tutti noi è piaciuto molto il tuo libro, per la tua onestà e il tuo coraggio di fronte a questa esperienza traumatica. Come hai deciso di scrivere questo libro?
MARINA: Non è stata esattamente una decisione. Sono stata rilasciata dal carcere nel 1984 quando avevo quasi 19 anni. All'epoca non lo sapevo, ma avevo il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD), che all'epoca non era né diagnosticato né curato, e, per anni, non ne mostrai molti sintomi visibili. È stato solo dopo che siamo arrivati in Canada nel 1991 e abbiamo iniziato lentamente una nuova vita che ho iniziato a mostrare il peggioramento dei sintomi del disturbo da stress post-traumatico. Fu allora, in Canada, che iniziai a scrivere le mie esperienze come un modo per affrontare il carico emotivo/psicologico.
NOI: Qualcuno ti ha aiutato durante la scrittura?
MARINA: No, nessuno mi ha aiutato. Ho seguito corsi di scrittura creativa presso la School of Continuing Studies dell'Università di Toronto e ho completato lentamente il libro.
NOI: Sappiamo che adesso insegni scrittura all'Università di Toronto. Ma quando sei arrivata, è stato difficile andare d'accordo con i canadesi e in particolare con la conoscenza della lingua?
Non proprio. Avevo studiato inglese in Iran da quando ero all'asilo. Quando siamo arrivati in Canada, ci siamo fatti subito degli amici meravigliosi nella nostra chiesa, e sono diventata anche membro di un club del libro con alcune meravigliose donne canadesi.
NOI: Speriamo che tu stia bene ora, perché siamo sicuri che è stato davvero difficile rivivere quella parte particolare della tua vita, ma vorremo sapere l'impatto che questa esperienza ha avuto sulla tua vita, è ancora difficile pensare al tuo passato o è un punto di forza in questo momento?
MARINA: Non è mai facile parlarne, ma è certamente possibile. Anni fa ho deciso di testimoniare ciò che è successo a me e ai miei amici scrivendo e tenendo discorsi. Sapevo che non sarebbe stato facile, e non lo è stato. Ma so che dovevo farlo per poter vivere con me stessa.
NOI: Ammiriamo il tuo senso di responsabilità di fronte a tutti i tuoi amici che sono stati imprigionati nella prigione di Evin, che è ancora operativa. So che sono a conoscenza del tuo libro, quindi hai mai avuto paura delle spie o forse solo del fatto che loro sappiano di te?
MARINA: Sono stata minacciata molte volte. È spaventoso, ma la verità è che molti dei miei amici sono morti quando erano adolescenti. Ma ho vissuto. Adesso ho quasi 57 anni. Considero questa una lunga vita. Moriamo tutti. Non permetterò che la paura della morte mi impedisca di vivere e di fare ciò che credo sia giusto.
NOI: Parlando del tempo presente, come hai vissuto la situazione del Covid? La tua famiglia è sana? Mandiamo i nostri saluti anche a tuo marito, Andre.
MARINA: Siamo tutti vaccinati e sani. Grazie. Spero che anche voi e le vostre famiglie stiate bene! Ad essere onesti, non ho mai trovato difficili le restrizioni COVID. Sono state solo un po' scomode, ma ci siamo riusciti.
NOI: Leggendo il libro abbiamo capito che non aveva mai saputo della tua esperienza, quindi vorremmo sapere se ha letto il libro e come ha reagito.
MARINA: Sì, ha letto il libro. Si è scusato con me per non aver mai insistito di sapere cosa mi è successo ad Evin.
NOI: Siamo felici di averti intervistata e vogliamo che tu sappia che ti rispettiamo davvero per tutta la tua determinazione, gentilezza e cuore. Grazie mille per averci permesso di intervistarti, sempre felici di sentirti.
MARINA: Grazie mille per le vostre domande molto premurose! Vi auguro buona salute, pace e gioia!